
Povere Creature! è l'ultimo film del regista greco Yorgos Lanthimos.
Presentata all'ultima edizione della Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia, dove si è aggiudicata il Leone d'oro al miglior film, così come un Golden Globe per il miglior film commedia o musicale, la pellicola ha visto la luce nelle sale a gennaio 2024.
Il film ripercorre la vita di Bella Baxter, una persona (si prenda con cautela questo termine), che ha la possibilità di rivivere la propria vita sviluppandosi biologicamente come un bambino all’interno di un corpo già adulto: il cervello di un neonato viene trapiantato nel corpo di una donna adulta, così che possa far esperienza del mondo, scoprirlo e riscoprirlo ad un ritmo del tutto singolare.
Il presupposto filosofico è chiaro ed evidente sin dalle prime scene, e si pone, a mio avviso, in piena continuità, tematicamente parlando, con molte delle sue opere precedenti, si pensi a Dogtooth o The Lobster:
Lanthimos guarda alla società e mira a mettere in luce il rapporto essenziale che intercorre tra questa e l’individuo, cercando di rappresentare la pulsione che la attraversa e che violenta l’Io nel momento in cui deve rapportarsi con l’Altro; quel che il regista greco pone di fronte alla macchina da presa è l’insieme di forze incontrollabili, per l’appunto pulsioni, che determinano il nostro agire in società e, successivamente, si mascherano, si celano dietro al regime di citazioni e di comportamenti che costituisce l’ordinario, la norma.
Il risultato è che lo spettatore venga posto di fronte ad un paradosso fondamentale: ad ogni forma di sociazione sottende, intrinsecamente, una dissociazione. La continuità che si riscontra tematicamente sul piano filosofico, non si trova, invece, su quello meramente cinematografico: aldilà degli eventuali giudizi di valore o qualitativi che si potrebbero attribuire alle scelte registiche è indubbio che per questa pellicola l’autore de Il sacrificio del cervo sacro abbia abbandonato lo stile cruento e brutale, finanche crudele, che ha contraddistinto la sua precedente produzione, in favore di un’atmosfera più romanzesca, edulcorata, che particolarizza questo film sotto tutti i piani possibili, da quello estetico (sottolineo qui la, a mio avviso riuscitissima, citazione all’espressionismo tedesco) a quello più squisitamente narratologico.
Il risultato di tale transizione è un autentico manifesto, almeno per quanto concerne le tematiche di genere: la storia di emancipazione di una donna (invito ancora a adoperare questo termine con cautela)* che, per ragioni legate al suo essere, non può rientrare nei canoni di una società che prova a piegare il suo istinto sin dalla più tenera età, imprigionandolo tra le sbarre delle convenzioni e i dogmi della “Buona società”. Così la liberazione di Bella è il frutto di un’alienazione totale del singolo dall’ambiente in cui nasce e con il quale interagisce, che le permette di volta in volta di trascendere attraverso la trasgressione: Bella non ha una casa, la sua casa è il mondo, non ha una famiglia, almeno non biologicamente, non ha un amante, ama liberamente chi vuole e si sottrae,
filosoficamente parlando, alla vena più cinica del materialismo, rifiutando qualsiasi considerazione deterministica del mondo e dei rapporti di potere, sebbene questo si traduca, talvolta, in una genuina e sincera ingenuità. La trasgressione in tutte le sue sfumature diventa, quindi, la forza motrice di Bella per tutto il film, fino a realizzare quanto Judith Butler in Questione di genere, riprendendo la rilettura che Michel Haar fa di Nietzsche, definisce come la liberazione dell’umano dai fin troppo ingombranti concetti di Essere e di Sostanza, che influenzano le tradizionali ontologie e determinano tanto psicologicamente quanto socialmente i singoli: non esiste l’essere, esiste solo il fare; tutte le categorie psicologiche non sono altro che il frutto della reiterazione di giochi linguistici, regole grammaticali, che ci hanno da sempre condizionati nella definizione della realtà; si pensi al cogito cartesiano, per esempio, Cartesio afferma l’io penso perché fortemente influenzato dalla struttura grammaticale soggetto/predicato.
È, quindi, attraverso il suo fare, che è sempre un trasgredire, che Bella riesce a sfuggire a qualsiasi canone impostole, emancipandosi con le sue azioni e attraverso il suo corpo, la materia che la(?) costituisce e con il quale lei fa esperienza diretta del mondo; sperimenta una liberazione tout court dai circuiti che orientano esistenzialmente l’individuo, da quello sociale a quello epistemologico, fino a quello erotico, concretizzando quel superamento del servo sul padrone, descritto da Hegel nella Fenomenologia dello spirito.
Concludendo, Povere Creature! realizza, in tempi fin troppo esigui a mio giudizio, una vera e propria guida perversa al transfemminismo, e lo fa senza moralismi o giudizi di valore di alcun tipo, mi incuriosirebbe sapere se Judith Butler possa o meno annoverare questa pellicola nella categoria di film che lei reputa “sovversivi”, nel frattempo, spero che quanto ho scritto possa cogliere un minimo la profondità del messaggio del regista e magari orientare alla visione del film, che merita senz’altro di essere approfondito.
*Trovo che sia impreciso riferirsi al genere di Bella come femminile, persino lei si presenta sempre come “Bella Baxter” e mai come “donna”, nonché in contraddizione con la lettura Butleriana che ne ho dato, eppure penso che allo stesso tempo la “marcatura di genere” sia fondamentale come motore della storia, ragion per cui non ho voluto rinunciarvi, mi assumo la responsabilità di eventuali errori e imprecisioni e, in tal caso, invito a farlo presente.
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