Di fronte ad un problema diffuso, come le relazioni internazionali tra diversi enti ed università utili a fare ricerca in ambito militare, o come il consumo di massa di prodotti fatti da aziende che finanziano una determinata azione reputata ingiusta, il contributo personale sembra insignificante. Perché allora decidere di cambiare comportamento ed idee e smettere di fare qualcosa che si faceva prima, e che Ti è stato riferito essere sbagliato poiché dannoso ad altri? Perché, soprattutto, cambiare atteggiamento se si è consapevoli che l'effetto sul problema generale sarà insignificante?
Nei prossimi paragrafi verrà spiegato un semplice motivo in più per rispondere a tali domande; risiedente nella relazione tra una coerenza morale minima (1) e la possibilità di reputarsi una persona avente il libero arbitrio e la capacità di applicarlo (2).
1.
La coerenza morale deriva dalla eventuale correttezza logica con cui, dalle nostre premesse morali, ad esempio quella del non contribuire a danneggiare altri che non pensiamo lo meritino, traiamo tutte quelle conseguenze applicabili nella nostra vita quotidiana, ossia le intenzioni ed i comportamenti.
Qual è il costo da pagare se non si ha una coerenza morale?
Il costo da pagare è che, non essendoci accordanza tra ciò che si pensa e ciò che si fa, saremo indotti istintivamente ad ignorare, abbandonare o cambiare inconsciamente, dunque inconsapevolmente, le nostre premesse: non perché non le reputiamo più giuste, ma perché preferiamo non sentirci in contraddizione con esse e con noi stessi.
Così, senza pienamente accorgersene, ci si allontana pian piano dai punti focali che abbiamo adottato come cardini della nostra vita.
Punti focali come la giustizia eguale per tutti o la solidarietà per i più deboli che anzi reputiamo fin da piccoli capisaldi delle nostre azioni, praticamente illudendoci del vivere nel loro segno anche se li tradiamo costantemente in tutte quelle azioni che sommate costituiscono la nostra esistenza; che probabilmente sarebbe giudicata immorale da noi stessi in un momento diverso.
Al venire meno così della coerenza morale viene meno l'esercizio coerente della nostra stessa volontà.
2.
La volontà è l'espressione coerente di un dato insieme di decisioni nel tempo.
Nel momento in cui non abbiamo una coerenza morale integra, le nostre decisioni future dovranno piegarsi a tale stortura, adattandosi nuovamente ai nuovi compromessi che stabiliremo.
Questi compromessi in ambito morale, su ciò che riteniamo sia giusto o sbagliato e su ciò che facciamo, saranno semplicemente sempre più dettati da ciò che il caso vuole, dal contesto e dall'occasione: non ci vorrà molto, così, che si perderà quasi completamente la coerenza con quegli assunti che probabilmente in fondo consideriamo ancora giusti, ma che preferiamo non ricordare ogni giorno, perché ciò vorrebbe dire in un modo o nell'altro ricordare tutti i versi in cui li osteggiamo e siamo incoerenti.
Ed è proprio così che, sacrificando la coerenza morale, si sacrificherà la capacità di esercitare una vera e propria volontà, non più dettata sostanzialmente dalle nostre decisioni su ciò che è corretto ed adeguato fare, né protratta nel tempo, ma trasmutata dall'ambiente in cui ci troviamo e dalle norme a cui senza accorgersene ci si è piegati.
Il risultato di tale processo è la perdita della propria libertà: alla mancata capacità di esercitare volontà corrisponde la sottomissione al volere dell'altro o dello status quo in cui ci si trova.
Quindi, perdere coerenza morale significa direttamente perdere libertà, invece che il contrario, a cui delle volte si allude quando si vuole dare per intendere la moralità come violazione del libero arbitrio: la moralità dispone alle persone un metodo coerente attraverso il quale esercitare la propria volontà a partire da decisioni reputate adeguate a permettere di vivere liberamente, e non con il peso della coscienza macchiata e piegata a norme estranee e consuetudinarie.
Così, decidere in un dato momento di smettere di comportarsi in un modo, che ci si rende conto solo allora non essere effettivamente coerente con ciò che si reputa giusto, significa progredire nello sviluppo e nell'esercizio della propria volontà personale, più autodeterminata che se invece si continuasse ad ignorare tale incoerenza e si decidesse tacitamente di sottomettersi alla normalità che si osserva attorno, protratta da altri.
Altri che, come noi, vivono nella stessa condizione ma si impegnano nel non rendersene conto così da illudersi di essere liberi semplicemente avendo a disposizione la sensazione di poter fare quel che capita, indifferentemente da “giudizi limitativi”; ma che, in realtà, si stanno sfilacciando l'integrità della propria identità e con essa la traccia della propria presenza nella realtà, ossia quella prodotta dalla volontà coerente per definizione che sola esprime la libertà di decisione.
E questo è solo uno, trai tanti, dei buoni motivi per smettere di rimanere indifferenti ad una ingiustizia sociale; smettere di consumare cibo prodotto da una data azienda; smettere di ordinare indumenti da distributori la cui inconsistenza etica è nota; smettere di partecipare emotivamente alla linea politica di un partito che ha dimostrato, anche solo nell’indifferenza, la piattezza morale che lo circoscrive.
Iniziare a riconoscere, per il bene degli altri e della propria autodeterminazione, che lasciare insinuare la sfiducia e l'ottica cinica nell'etica politica incorporata in noi che suggeriscono quella mollezza della persona volta al falso utile immediato, che altro non è che piegarsi al fare la cosa più immediata, equivalga a mettersi le mani di fronte agli occhi e pretendere di poter camminare alla cieca un percorso che per evidenze comuni e confini netti sta diventando sempre più stretto.
Tale strettura del percorso si rivela, ad uno sguardo attento, la radicalità necessaria nelle decisioni quando queste avvengono in un contesto di radicali problemi. Esercitare radicalità vuol dire anche riconoscere nella consistenza della propria morale la radice della propria libertà e con questa della propria persona.
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