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“Nella vita ci poniamo delle mete, e ne diventiamo schiavi”

Immagine del redattore: tentativo2lstentativo2ls

I buoni risultati a scuola, avere voti migliori del compagno di banco, invidiare “il primo della classe”. I buoni piazzamenti nello sport, l’ambizione di far parte di una squadra migliore, il desiderio di essere riconosciuto come il più forte. La realizzazione relazionale e amorosa, l’invidia e l’incertezza nei confronti delle situazioni altrui, il confronto costante e, spesso, autoimposto. I risultati accademici e lavorativi, essere il dipendente del mese, o laurearsi con 110 e lode. Essere riconosciuti come eccellenza.


Non a tutti, non nello stesso modo né con gli stessi tempi, capita di sentirsi addosso queste pressioni. Probabilmente, però, ciascuno di voi che legge, ha avuto esperienze e pensieri riconducibili agli esempi di cui sopra. Nei casi peggiori, ci si ritrova davanti a vortici d’ansia da insoddisfazione; e da lì, libera strada a pensieri nefasti e ricorrenti, dove si rimugina sul passato non sufficientemente sfruttato, e sul futuro non sufficientemente allettante, regnano sovrani.


Di questo ci parla “La simmetria dei desideri”, di Eshkol Nevo. Un perenne e costante confronto con le vite altrui, in cui ogni attimo diventa un’occasione per rimarcare la propria inadeguatezza alla vita, e fornire nuovo materiale da ardere sul braciere delle occasioni mancate.


La tensione narrativa degli eventi, inevitabilmente coinvolgente, complice un’incredibilmente dettagliata cesellatura dei caratteri psicologici di tutti i personaggi coinvolti, fa nascere, quasi spontanei, due interrogativi: da dove arriva questa necessità di confronto? E come se ne esce?


Un filo rosso collega, in partenza, le storie di tutti i personaggi: l’aspirazione. Per un caso di rilievo nazionale, o per un lavoro meno soffocante, e che lasci più spazio alla creatività, o, ancora, per un luogo dove poter curare le persone; questa è la risposta dell’autore alla prima delle nostre due domande: è l’aspirazione che muove gli animi delle persone, ed è l’aspirazione che porta le persone a fare passi per cambiare, sé stessi e il mondo circostante. Il problema, allora, di questa “malattia del desiderio” è da ricercarsi nelle modalità e negli esempi che collaborano a costruire, dentro ciascuno di noi, i sogni del domani; su quali basi si capisce cosa sognare?


Esemplifica questo dilemma Yuval: il nostro protagonista, sotto la pressione sociale degli amici, i quali pretendono che, su due piedi, egli pensi a dei desideri che non è stato in grado di generare per i ventotto anni precedenti a quella sera, si ritrova a concedere non solo uno, bensì tutti e tre i desideri al coinvolgimento che una persona recentemente a lui avvicinatasi ha creato.


Perché non è stato in grado di crearne prima? Perché, mentre varca silenziosamente la soglia degli “anni di gesso”, si ritrova a dover concedere le sue speranze e i suoi sogni a una persona fino a poco tempo prima sconosciuta?


Con discrezione, Nevo sembra additare una possibile ragione: in una, seppur colpevolmente leggera, nell’opinione di chi scrive, critica alle politiche di Israele a inizio millennio, rende egregiamente la disfunzione immaginativa a cui va incontro il protagonista, teso tra la mancanza di un’educazione emotiva in grado di fornire una bussola utile allo scopo e un mondo attorno incapace di ascoltare le necessità reali degli individui, quanto più disposto a offrire “sogni preconfezionati” adattabili alle vite di tutti, ma ai quali non tutti sono adatti, che continuano a proiettare le loro ombre, tramite le aspettative genitoriali e il confronto tra pari.

Allo stesso tempo, però,


Nevo ci dice anche altro, fornendoci gli esempi per rispondere anche al secondo dei nostri interrogativi: quasi come infilasse una busta sotto la porta per poi andarsene di soppiatto, mette davanti al lettore un concetto tanto evidente quanto ben celato: l’empatia; è l’empatia, percepita nei propri confronti, che porta Yuval a trovare rifugio in una persona, e a concedere a quest’ultima tutti e 3 i suoi desideri; ed è sempre l’empatia a fare da linea guida alle azioni dei compagni d’avventura del nostro romanzo, fintanto che la fredda e bieca obbedienza all’aspirazione non prende il sopravvento; e ancora, è l’empatia a far sì che il gruppo di amici non si sciolga definitivamente, al pari della band I Camaleonti, anche dopo gli avvenimenti turbolenti che questi moschettieri in chiave rivisitata si trovano ad affrontare.


Come un faro, calarsi nei panni altrui ci permette innanzitutto di comprendere, nei limiti di ciò che è umanamente possibile, le motivazioni soggiacenti alle scelte altrui, e di non mitizzare le ragioni e le dinamiche mentali delle persone che ci circondano; ma soprattutto, ci consente di decostruire l’apparente perfezione dei sogni altrui, i quali, se dall’esterno possono apparire privi di dubbi ed esenti da crepe, rivelano, ad un’analisi più approfondita, il peso e il costo di tutte le scelte e di tutti i compromessi che ciascuno di noi si porta appresso, rivelandoci, sperando di poterselo ricordare sempre, l’imprescindibile e faticosa umanità dei desideri.

 
 
 

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