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Le conseguenze della verità - “La sala professori”, di İlker Çatak

Immagine del redattore: tentativo2lstentativo2ls



Nell’antica Grecia, in particolare modo nella città d’Atene, la comunicazione politica era ben differente da quella che viviamo oggigiorno.


Giochi semantici, slogan populisti, strategie discorsive, tutto questo non esisteva. Non esisteva perché la democrazia ateniese si fondava su un grande principio, la parresìa. Questa rappresentava il diritto di dire la verità.


Fino al V secolo a.C., la libertà di parola equivaleva al concetto di parresìa. Dire la verità era considerato un atto liberatorio, un atto dialettico che permetteva di mettere in discussione la realtà delle cose, e pertanto un atto politico vero e proprio. Atto politico che non piaceva però ad alcune sfere sociali, in particolare modo all’aristocrazia, che riteneva inutili e rumorosi gli infiniti dibattiti delle assemblee cittadine. Spaventati di poter perdere la loro egemonia culturale nel tessuto ateniese, gli aristocratici si adoperarono di un corpus di intellettuali che avevano un preciso compito: dare forza ai discorsi deboli. Così nacque quella che oggi conosciamo come scuola sofistica, e contro la parresìa che aveva contraddistinto la politica ateniese si schierò la retorica, l’arte di convincere le persone. La politica allora non fu più un esercizio critico ma divenne uno strumento per giustificare la propria idea di realtà. Un’idea di realtà che probabilmente faceva comodo al potere. Ma come si fa capire quando una persona dice la verità e quando sta solo giustificando il suo punto di vista? Alla ricerca di questa risposta va Carla, una giovane professoressa tedesca idealista e onesta fino al midollo.


Dopo una serie di furti che ci sono stati all’interno dell’aula professori Carla, supplente di matematica ed educazione fisica, decide di prendere alcune precauzioni. Un giorno, durante la ricreazione, lascia il suo computer incustodito con la webcam accesa in registrazione e, allontanandosi, lascia dei soldi all’interno del suo cappotto. Al suo ritorno scopre che i soldi non ci sono più, e dalla registrazione fatta dal PC il fantomatico ladro “sembrerebbe” essere la signora Kuhn (nella registrazione si vede una persona con una camicia uguale alla sua senza far vedere il volto), segretaria che lavora in amministrazione. Nel momento in cui Carla scopre questa terribile verità, in quanto non si aspettava che un dipendente scolastico fosse responsabile dei furti, emergeranno una serie di conflitti che sconvolgeranno l’intera scuola. Una volta infatti che Carla presenterà il caso alla preside, nonostante fosse intenzionata a chiarire in maniera pacifica con la signora Kuhn chiedendole semplicemente di ridarle i soldi, le cose diventeranno più complicate del previsto: da una parte abbiamo la signora Kuhn che perderà il lavoro e verrà denunciata, dall’altra abbiamo Carla che complice di un grande idealismo non riesce a realizzare il peso delle sue azioni. Proprio su Carla e sulle sue scelte girerà la narrazione del film.


Il regista Çatak ci regala una narrazione conflittuale, dinamica e stringente a partire dalle inquadrature in 4:3, condita da una colonna sonora composta principalmente da pezzi di musica classica e di suoni pungenti, a partire dai violini. “La sala professori” si pone l’obbiettivo, riuscito compiutamente, di essere una metafora della società in cui viviamo: lo scontro fra ciò che è Vero e ciò che viene manipolato dalle parole e dalla retorica per far credere che sia Vero è il tema centrale del film; Carla si presenta come una parresìasta che ricerca continuamente l’armonia e il dialogo con i suoi studenti, tanto che ha elaborato un ingegnoso sistema per tenere concentrati i ragazzi al suo arrivo in classe. Ma nel momento in cui la conseguenza della sua verità mette a repentaglio non solo la vita lavorativa della signora Kuhn, ma anche il benessere di suo figlio che si rivela essere proprio uno studente della classe di Carla, le cose cambiano irrimediabilmente. Gli studenti iniziano a creare la loro versione dei fatti mettendo in discussione l’autorità di Carla, e quindi la sua versione. Dall’altra parte, Carla è continuamente pressata dai suoi colleghi professori affinché assuma un atteggiamento neutrale e possa stare al loro fianco. Un’altra volta il potere delle parole, e da chi vengono dette, contribuisce a plasmare la realtà in cui viviamo, capace persino di far passare una brava persona in un criminale e viceversa.


E dunque, di chi o cosa fidarsi? In un finale emblematico, “La sala professori” ci ricorda che la verità delle cose, volenti o nolenti, la sappiamo già. E’ dentro di noi, è silenziosa, perché chi mente sa di star mentendo. Il potere dell’autorità non è altro che un potere manipolatorio fatto di stratagemmi linguistici, che possono essere distrutti in qualsiasi modo: basta che il popolo (in questo caso gli studenti) non ti ascolti più.

 
 
 

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