Il tema della democrazia, il tema della partecipazione consapevole al voto, il tema della governabilità.
In un contesto storico profondamente mutato, mentre si discute di democrazia diretta e di élite, rileggere le riflessioni dello scrutatore (Amerigo Ormea) di Calvino può essere importante per ritrovare un equilibrio etico. Un equilibrio che di certo pure il protagonista fatica a riscoprire e a cui, forse, neppure giunge. Non a caso si tratta di una scrittura verbosa. Sovrabbondante di riflessioni.
Il commento alla realtà contemporanea non è cominciato oggi, come non è cominciato ieri, e di questo l’autore ne è ben cosciente. Tanto è vero che il racconto sembra rifarsi a quell’engagement spontaneo e meditativo proprio della letteratura francese. Ovvero, la cosiddetta scrittura implicata. Il richiamo alla responsabilità degli stessi autori a taluni dibattiti sociali e politici. Una scelta di coscienza insomma.
Il protagonista, è un cittadino a cui, durante le elezioni (siamo nel ‘53), è toccato il compito di fare lo scrutatore in una sezione elettorale che si trova all’interno del «Cottolengo» di Torino. Un luogo che si estende ben al di là dei confini del suo mondo e verso il quale egli arriva vestito di due principi: non farsi mai troppe illusioni e non smettere di credere che ogni cosa che fai potrà poi servire.
In particolare, quest'’ultima convinzione viene messa in dubbio svariate volte e ciò inizia proprio dal luogo in cui vengono svolte le elezioni. Infatti, tra i muri di quella struttura, o meglio istituzione ecclesiastica, egli vi si ritrova nella parte di un erede del razionalismo settecentesco. In quegli anni, la generazione di Amerigo, di cui si fa portavoce egli stesso, si trova fortemente spaesata e con un senso di nostalgia.
Questo perché nel suo aggrapparsi al passato, egli ricorda di come le persone d’allora fossero più interessate alle questioni universali che non a quelle private. Le sedi erano improvvisate e la gente faceva a gara in quello slancio volontario che era la partecipazione collettiva per giuste cause.
L'istituto torinese invece è descritto come un edificio industriale, e il suo fondatore, un sacerdote, è paragonato a un imprenditore. Il parallelismo che egli fa del Cottolengo con le "fabbriche" sottolinea come ogni elemento sia alla fine semplicemente un ingranaggio di una macchina ben più grande. La sorte degli abitanti, dei malati del Cottolengo è simile a quella degli individui nella società segnata dal grande sviluppo industriale: entrambi rischiano di perdere gradualmente la propria identità. L'impatto drammatico dovuto alle immagini aspre di cui è spettatore, lo spinge a interrogarsi su di sé e sul significato delle proprie azioni. Infatti, ideali e disegni politici non hanno nulla a che vedere con il dolore e la malattia di coloro che risiedono nel Cottolengo, e non possono certo risultare loro utili.
Secondo lui, quei pochi anni che hanno seguito la grande guerra, sono i soli che possano meritare la nomea di democrazia, proprio perché appena nata e dove la vita contava più dell’interesse. Tutto ciò che ne è poi conseguito, sarebbe l’ombra grigia dello stato burocratico. Gli elettori sono diventati creature opache in un mondo interamente deforme, nel quale, se particolarmente indifesi pur avendo il proprio diritto di voto, vengono impiegati come meri mezzi. In questo senso, il Cottolengo ne è un esempio. Un luogo in cui il tema delicato dell’invalidità, che peraltro Calvino tocca con estremo pragmatismo, viene messo all’angolo e utilizzato a favore di talune liste e partiti piuttosto che altri. Anche se inizialmente si potrebbe quasi pensare a uno sdegno aristocratico da parte di Amerigo, piuttosto che alla calorosa partigianeria popolare, addentrandosi più in profondità, ci si ritrova a interrogarsi sulle stesse domande. Tra cui, il chiedersi cosa sia l’essenza di una identità individuale al di fuori delle condizioni esterne che la determinano o quale sia il giudizio che un mondo escluso dal giudizio dà di noi.
Questioni complesse, a cui già il solo rifletterci mette in moto probabilmente le menti e le coscienze. Un broglio metafisico che riguarda però una realtà fisica.
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