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Julian Assange: Giornalismo Scientifico nell’Etica della libertà.

Immagine del redattore: tentativo2lstentativo2ls

Aggiornamento: 17 nov 2024

Le Relazioni diplomatiche Internazionali governano da circa quattrocento anni - col doppio trattato della Pace di Westfalia del 1648 - il modo in cui le società organizzate statalmente si rivolgono alla cooperazione ed al conflitto. Sebbene il giornalismo investigativo sondi spesso questi territori, appare evidente come una lacuna informativa ingente separi tali interazioni formali dal senso comune.

Il lavoro di Julian Assange è stato il culmine del movimento moderno che ha ben individuato una delle radici da cui divampano i problemi nella relazione opinione pubblica - governo politico: l’agire in segretezza indisturbato degli stati.


L’epoca delle rivoluzioni sociali d’inizio 900’, ove le maggiori ambizioni alla libertà sono state imperniate in strutture istituzionali tutto sommato rimaste stabili, ha avuto il merito di stabilire il paradigma di comunicazione tra le stanze del governo e le piazze delle masse. Questo si fondava sul ruolo degli ‘intellettuali’, quegli studiosi, giornalisti e scienziati incaricati a detta loro di descrivere le forme ed i valori delle istituzioni che si celavano allo sguardo dei più: seppure con abissali divergenze gli intellettuali al potere previsti da Lenin erano ben trasposti nelle società occidentali da quelli che Walter Lippmann, esponente di punta delle pubbliche relazioni americane, descriveva sostanzialmente come i ‘soli uomini adeguati a tenere a bada le masse’.


Così si saldava lo schema che vedeva nella separazione tra il corpo politico dei rappresentanti e le persone rappresentate, ossia gli elettori, lo spazio in cui inserire quei nuovi ruoli sociali. In tale lacuna ovviamente avveniva proprio la tutela della segretezza che gli stati possedevano nei riguardi delle loro azioni, che quasi non venivano concepite come potenziale oggetto rilevante alla discussione pubblica. Se la guerra era ‘affare di soldati’, la diplomazia ed il governo erano affar dei soli funzionari.


D’altro canto il dibattito pubblico di quell’epoca, abbandonato a sé ed al gioco delle metafore e delle analogie polarizzanti, neppure premette sulla diffusione di informazioni riguardanti quelle azioni governative da cui dipendeva la vita e la morte di milioni di persone. Edward H. Carr, diplomatico e storico del Novecento, così scrisse: “La campagna tesa a popolarizzare la politica internazionale prese avvio nei Paesi anglofoni sotto forma di protesta contro i trattati segreti (...) ma prima della ‘grande guerra’ pochi se ne interessarono o li considerarono meritevoli di discussione. La protesta successiva contro di essi (...) testimoniava l’esigenza di rendere accessibile la politica internazionale” (Carr 2009, p. 14-15).


La responsabilità riguardava ovviamente quel giornalismo disinteressato e complice di una sfera d‘azione esule da controlli. Difficoltà si presentavano anche, e forse soprattutto, dal fatto che i cosiddetti diplomi, dispacci d’ufficio descriventi attività diplomatiche, erano ben riposti nei grandi ministeri di affari esteri degli stati: v’era una distanza inarrivabile tra quelli ed i temi classici del giornalismo di politica interna, facilmente nutrito dallo scandalo e dalle questioni sociali. Sebbene in Gran Bretagna i Papers vennero pubblicati sin dal 1814, le attività sotterranee e decisive rimanevano anonime.


Come detto precedentemente gli impianti istituzionali sistematizzati con le burocrazie del Novecento sono giunti fin qui al 2024 di certo mutati; bensì non stravolti. Anni storici di proteste e rivolgimenti sociali sono avvenuti dagli anni 50’ sino ad inizio nuovo millennio; eppure non si riuscirono mai ad intaccare quelle procedure così meccaniche di rapporti fra nazioni su cui pendeva un certo silenzio e da cui dipanavano le conseguenze più tragiche, quali pianificazioni strategiche di guerre coloniali, stragi di civili, tradimenti di alleanze ed espansioni dei rapporti tra politica ed industria militare.


Non deve sorprendere la portata rivoluzionaria di Wikileaks, organizzazione di giornalismo investigativo nata ad inizio anni 2000, se si riflette a fondo quale fu la rottura che incise col passato: compreso il fatto che il metodo con cui gli avvenimenti si causano reciprocamente è così cruciale, anche rispetto agli avvenimenti in sé, ciò che Wikileaks fece fu stravolgere proprio il metodo di investigazione giornalistica per penetrare dall’interno quelle procedure che le relazioni internazionali adottavano ed ancora adottano: la messa in archivio e l’inaccessibilità sui documenti progettuali più decisivi.


Indizi che quella fosse la porta da sondare si ebbero sin dagli anni sessanta e settanta, in cui l’episodio storico dei pentagon papers, portati alla luce dal dipendente Daniel Ellsberg - poi eroico attivista - della Rand Corporation, azienda in relazione col Dipartimento di Difesa statunitense, dimostrò come la pubblicazione delle strategie degli affari militari internazionali potesse sconvolgere l’opinione pubblica e la relazione stessa tra questa ed il governo politico di un paese.


Julian Assange intuisce, ad inizio anni duemila, la necessità ed il potenziale di stravolgere la metodologia del giornalismo: penetrazione dell’archivio documenti, anche attraverso quei soggetti dissidenti e pronti a rendersi whistleblowers; analisi empirica dei dati raccolti; re-organizzazione e pubblicazione delle fonti primarie; considerazione e tutela dell’anonimato, dato il rischio di conflitto legale.

Wikileaks rappresenta il caso magistrale in cui la cortina innalzata dalla propaganda politica, mediata in particolare da quegli intellettuali a cui prima si accennava, viene bucata da un accesso interno ai segreti di stato e lo stravolgimento conseguente del dibattito pubblico internazionale.


Fare una disamina delle pubblicazioni di Wikileaks e del loro impatto è fondamentale: basti pensare alla messa in rete, attraverso il sito ufficiale, degli Afghanistan War Logs, Iraq War Logs, i files del Cablegate e le pubblicazioni del 2017 Valt 7 riguardo le attività dei Servizi statunitensi di sorveglianza di massa; il caso mondiale di Edward Snowden e Chelsea Manning, in relazione a quei sistemi di penetrazione illegale nei dispositivi tecnologici di milioni di persone da parte della National Security Agency o N.S.A., da tempo riconosciuta come vertice operativo in campo di spionaggio informatico - si ricordi il sarcastico discorso di Will Hunting rivolto ad un agente di governo nell’omonima pellicola; la rivelazione della campagna di propaganda mediatica programmata in Europa dagli Stati Uniti per direzionare l’opinione pubblica verso l’indifferenza riguardo l’operazione militare congiunta in Libia, poi di fatto avvenuta: sono tutti episodi ormai storici ed obiettivamente irripetibili, il cui approfondimento è consigliato qualora si volesse comprendere meglio la storia politica ed il tenore delle implementazioni tecnologiche dello spionaggio degli ultimi 15 anni: testi specifici come quelli dello stesso Assange - l’emblematico incontro e dialogo con Eric Schmidt, direttore di Google dal 2001 al 2011 e vicino al Dipartimento della Difesa, interamente trascritto e tutt’ora in rete sul sito di Wikileaks - o della giornalista italiana Stefania Maurizi, in stretto contatto col movimento, sono di grande utilità ed importanza.



Altrettanto importante è però comprendere quanto la metodologia proposta da Assange sia rivoluzionaria, denominata appunto giornalismo scientifico.

Nei giornali di ricerca scientifica, che si vada dalla fisica alla biologia sino alle scienze umane, vige un paradigma impostato e condiviso da ormai diverso tempo: l’idea che i dati fondamentali da cui l’articolo trae le conclusioni debbano essere disponibili alla revisione empirica.

Qualunque ‘paper’ da ritenersi valido verterà il proprio metodo sulla trasparenza e la possibilità analitica di comparare le relative conclusioni ad altre ottenibili da quelle fonti primarie sopra citate: così come uno scienziato sperimentale, il giornalista dovrà fare i conti con la possibilità che le sue disamine siano falsificate nell’immediato, poiché ‘ciò che è sostenuto senza evidenze, può essere dismesso senza argomentazioni. 



Per far ciò occorre sia l'onestà intellettuale che la pubblicazione di tutti quei documenti che sono stati necessari a stabilire le conclusioni di un dato articolo. Wikileaks procederà tra il 2006 ed il 2017, nonostante l’arresto ed il processo infinito - portato pochi mesi fa all’epilogo con la scarcerazione - del suo fondatore, nel segno di questo indirizzo teorico e pratico; l’utilizzo della crittografia, dal punto di vista informatico, ha rappresentato il tassello tecnico fondamentale per dare vita ad un puro progetto libertario, in questi termini intravisto da Assange fin da principio.


Progetto in cui si è manifestata tutta la potenza che un’etica, volta alla contestazione di una struttura autoritaria ingiustificata, può manifestare se indirizzata e canalizzata attraverso mezzi tecnici ed articolati nella direzione della trasparenza. Trasparenza, richiesta al governo politico, in grado di ridurre lo spessore di corruzione ed iniziativa antidemocratica che cova nell’organizzazione istituzionale ed internazionale vigente, eretta sulla segretezza di parte delle sue operazioni.


Il fine della trasparenza pertanto è la giustizia, ed è una concezione limpida ed operativa di questa che ha funto da causa finale e da tensore di tutto il processo effettivo di questo nuovo giornalismo scientifico.

Appena due settimane fa, Assange - ora uomo libero - ha pronunciato un discorso al parlamento europeo di Strasburgo; discorso che farà scuola, come l’attività ancora continua di Wikileaks, nell’illustrare il ruolo del giornalismo nella società del futuro, così come nel misurare lo stato della libertà d’espressione del nostro momento storico.

 
 
 

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