
Ci sono delle scene nella narrativa che risuonano dentro di noi, portando alla luce emozioni e pensieri sopiti, dimenticati nei meandri della nostra mente.
Rimangono impresse a lungo, sembrano quasi non voler andare via, perché in realtà fanno vibrare corde tese dentro di noi, riecheggiando il suono di un vecchio dolore. Oggi vogliamo parlare di una di queste scene, il funerale di Jay Gatsby, una scena in cui il lettore si ritrova partecipe, come se fosse presente in quel cimitero sotto la pioggia, accanto alla protagonista silenziosa del romanzo: la solitudine. Fitzgerald descrive questo sentimento come una nebbia silenziosa che circonda i personaggi, li rende ovattati, nebulosi, distanti tra loro e dal lettore. Questa distanza all’inizio è fisica, i personaggi ancora non si conoscono, si studiano da lontano, ma anche quando si riavvicinano, i rapporti sembrano colmi di silenzi e incomprensioni a lungo nascoste. Tutti i personaggi sono soli, ognuno a modo proprio, ognuno infelice, prima o poi, nel corso della storia. E anche se questa solitudine non viene mai accennata dal narratore Nick, il lettore la percepisce, la sente come un’eco lontano: non è altro che la familiarità della propria solitudine, del dolore che questa lascia.
Gatsby è un personaggio di finzione anche all’interno del libro, è una maschera creata da James Gatz per nascondere il proprio io e dargli una nuova forma, tenuta in vita dalle leggende e dalle storie sussurrate per tutta New York. Gatsby organizza feste nella sua maestosa villa, ogni fine settimana, a cui tutta la città partecipa, perché non è richiesto un invito. È proprio nella cornice delle feste mondane che vediamo aprirsi una finestra su questo uomo misterioso; viene presentato come carismatico, ricco, potente e famoso, circondato da persone e ospite di numerose feste sfarzose.
Leggendo la descrizione di una festa a cui non partecipa, il lettore percepisce, per la prima volta nel romanzo, la solitudine: la propria solitudine, che nasce dal confronto con gli altri, dalla percezione degli altri come persone variegate, complete, intricate e insondabili, mai davvero comprensibili fino in fondo, poiché troppo complesse e inavvicinabili. La solitudine si genera quando, nel confronto, noi ci percepiamo vuoti. È in questo vuoto che sentiamo riecheggiare il suono attonito del nostro dolore, della nostra vergogna, assieme all’assordante brusio delle feste di Gatsby.
Quando però riusciamo, assieme al narratore, ad accedere a una di queste incredibili feste, ci rendiamo subito conto che chi vi partecipa non si conosce neanche di nome e non conosce Gatsby se non di vista; a chi chiede di lui vengono raccontate le storie più improbabili, fatte più di pettegolezzi che di verità. Lui presenzia alla festa, in disparte, cerca qualcuno tra la folla, parla con poche persone. Un uomo chiacchierato ma in realtà solo, perché nessuno conosce la sua vera storia, nessuno ha un’amicizia sincera con lui.
Gatsby è fedele soltanto al sé stesso da lui creato e all’amore per la sua Daisy. Il simbolo del loro amore è la distanza che li separa, la luce verde al di là della baia, avvolta nella nebbia; una distanza fisica che sembra incolmabile, a causa del matrimonio di lei, ma che, grazie all’intervento di Nick, viene ridotta. I due amati si incontrano dopo anni, e anche se sembra che si riavvicinino, la verità è che sono due persone sole e infelici da troppo tempo, non c’è alcuna speranza per loro di trovare la felicità nell’amore dell’altro.
Non c’è amore tra Daisy e Gatsby, nel loro rapporto non c’è spazio per altro se non per la loro nostalgia, per un’infatuazione forte ma sfuggente, che non dà speranze: alla fine, Daisy non ci sarà al funerale, lasciando Gatsby solo.
Daisy è una donna sola e infelice, una madre assente e una moglie insoddisfatta. Lei e suo marito Tom sono descritti da Nick come due ricchi annoiati, allontanati l’una dall’altro per la presenza ingombrante dell’amante di lui, una donna per cui Tom prova affetto ma anche possesso. Anche questo matrimonio, e questo adulterio, seguono lo stesso schema di tutti gli altri rapporti nel romanzo: non c’è soluzione alla solitudine dei personaggi, rimangono confinati nel proprio io, senza possibilità di avvicinarsi, di comprendersi davvero, di risolvere una situazione dolorosa e tragica. L’apice di questa disperazione è il confronto tra Tom, Daisy e Gatsby, che non risolve nulla e li allontana inesorabilmente.
Nessun rapporto si salva, nessuna parvenza di comprensione sincera sembra esserci tra di loro. Questo confronto non può risolvere le cose, e l’unico effetto che ha è di generare il panico tra i personaggi, un’agitazione che porterà all’omicidio di due persone, di cui una è Gatsby.
In un mondo letterario in cui i personaggi sono soli e non sanno comprendersi, sono proprio un malinteso e una bugia a compiere definitivamente l’atto finale. Uccidere Gatsby per vendetta, non per amore; un uomo solo muore per la solitudine e lo strazio del proprio carnefice. Uccidere Gatsby lasciandolo solo, così come era in vita, senza amore: Daisy fugge da Long Island, disperata per sé stessa, sola più di prima.
La solitudine esce vittoriosa, ma noi lettori, in questa cornice tragica, vediamo, avvolta nella nebbia, una speranza. Nick è devastato per la morte di Gatsby, organizza il funerale per lui, e si vergogna quando si rende conto che nessuno verrà. Si dispera, perché Gatsby non ha nessuno che vuole dirgli addio, perché neanche Daisy si premura di inviare “né una parola né un fiore”. Il dolore di Nick ci fa riflettere sul suo rapporto con Gatsby, l’unico rapporto sincero e reciproco del romanzo, anche se ce ne accorgiamo troppo tardi: è proprio Nick a raccontarci la sua vera storia, con tutte le ombre e le bugie raccontate per anni. Nick è l’amico che cerca di opporsi alla solitudine di Gatsby, cerca di vincerla finché, ormai, non è troppo tardi.
Se prima la nostra solitudine era alimentata dal confronto con l’altro, ora ne sentiamo l’eco perché la riconosciamo nel dolore di Nick, e la nostra speranza è proprio il fatto che, finalmente, è qualcun altro oltre a noi a percepire le nostre stesse emozioni. Nick è devastato, prova vergogna e disperazione: la solitudine di Gatsby ora è diventata la sua, ora anche lui, come noi, è rimasto solo.
Possiamo sentire la nostra solitudine come incessanti campane da funerale, o piuttosto percepirla lontana, come il sentore di un profumo familiare, ricordando un dolore a lungo sopito, ma che non può essere facilmente scordato. In entrambi i casi, questa scena e questi personaggi, come tanti altri in letteratura, hanno l’arduo compito di farci sentire compresi, presenti, individui complessi, le cui emozioni sono scritte su carta. Improvvisamente, leggendo, nonostante il dolore, ci accorgiamo, finalmente, di essere meno soli.
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