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Come il sistema ci sta portando (ci ha già portato) al Brainrotting

Immagine del redattore: tentativo2lstentativo2ls

In una società che ci vuole sempre più produttivi oziare è un vero e proprio atto di ribellione.


Con la sua mania per l’efficienza, il capitalismo ha plasmato il nostro modo di vivere e di relazionarci con il mondo intorno a noi. Ogni momento della nostra vita sembra ridotto a una questione di performatività: lavoriamo per produrre, consumiamo sostenendo il sistema che ci rende schiavi e anche il nostro tempo libero deve essere massimizzato, deve avere uno scopo, deve portare a un risultato tangibile. Noi però non siamo macchine, non siamo ingranaggi e in un mondo che ci insegue, che ci chiede di correre, è importante fermarsi e domandarsi dove si stia andando.


Questa corsa senza freni ha lasciato indietro un vecchio amico: l’ozio, ora tanto criticato, quasi un tabù. Chi ozia non lavora e quindi non è una persona seria; perde tempo e questo è inaccettabile. L’ozio nel suo senso più profondo è tutto tranne che una perdita di tempo. Non è pigrizia, non è inerzia; è uno spazio vuoto che può essere tutto, un momento per pensare, per ragionare, per conoscersi e conoscere gli altri, e infine un momento per ricercare la verità. Se spogliamo la parola ozio del suo significato più contemporaneo, che ne dà un’accezione negativa, riscopriamo un ozio con significati più vicini a quelli che il termine aveva in latino, dove otium era il tempo libero dalle occupazioni della vita politica e dagli affari pubblici (cioè dai negotia)[1], che poteva essere dedicato alle cure della casa, oppure agli studi e sopra ogni cosa al pensiero critico. B. Russel scriveva quasi 100 anni fa: “Vi era anticamente una capacità di spensieratezza e di giocosità che è stata in buona misura soffocata dal culto dell'efficienza. L'uomo moderno pensa che tutto deve essere fatto in vista di qualcos'altro e non come fine a se stesso.”[2] Dobbiamo imparare a recuperare quella spensieratezza.


Questa ossessione per il rendimento ci fa avere paura del nostro ozio, e quando non siamo produttivi proviamo un senso di disagio, uno stato d’animo di apatia e distacco dal mondo.

Questo senso di malessere ci spaventa e lo trasformiamo in noia, invece che godere del nostro ozio ci annoiamo tremendamente, annichiliti nel tedio, l’anima si indebolisce, e anche l’intelletto. Quella noia puo’ essere tutto, motore di creatività e idee, finisce per divenire timore; affrontare la propria noia ci pone a tu per tu con noi stessi, e ci costringe a pensare. Un nemico da combattere tutti i giorni che sempre più spesso cattura amici e persone intorno a noi, sono tutti annoiati. Ma come fuggire? Secondo la psicologia della Gestalt, questi momenti prendono il nome di “vuoto fertile”, momenti in cui l’esperienza passata è finita e la prossima deve ancora arrivare. Nonostante sia un momento emotivamente difficile perché il senso del nulla e la mancanza di desideri dominano, è una fase essenziale del processo creativo in cui s’integrano le esperienze vissute, in attesa di nuove mete e sensazioni; metaforicamente è l’esperienza che fa da ponte fra lo stato apatico-depressivo e quello espressivo della personalità, un passaggio necessario per l’affermazione di se stessi.[3]


E allora per fuggire la nostra noia, per fuggire il nostro ozio, passiamo ore intere a scorrere all’infinito sui feed dei social network. Giornate spese a guardare video senza senso, a consumare contenuti che non arricchiscono la nostra mente, la impoveriscono. Il risultato ottenuto dopo un consumo smodato di contenuti (principalmente online) di bassa qualità intellettuale prende il nome di brain rotting. La locuzione compare la prima volta in un libro di H. D. Thoreau, pubblicato nel 1854, in cui l’autore critica fortemente le scelte politiche del governo inglese per quello che riguarda il marciume delle patate (potato rotting) quando piuttosto avrebbe dovuto occuparsi del marciume cerebrale (brain rotting) dilagante.[4]


Oggi questa espressione indica un deterioramento dello stato intellettuale di una persona dovuto ad un consumo esagerato di contenuti poco stimolanti. Uno degli effetti più pericolosi di questa cultura della produttività, in cui tutto deve essere veloce, immediato e facile, non c’è spazio per il dubbio, per la complessità. Preferiamo risposte semplici, e ci troviamo vulnerabili al conformismo e all'ignoranza. Il pensiero critico, infatti, richiede tempo; tempo per non fare nulla. Per uscire da questo vortice di rovina mentale e spirituale dobbiamo ritrovare la spensieratezza, dobbiamo riacquisire il nostro tempo e liberarlo.


Ci si puo’ fermare, gli spazi vuoti esistono e sono la strada per l’equilibrio. Una volta affrontata la propria noia, riscopriamo il silenzio, la contemplazione e infine la bellezza. Questo certo non significa rifiutare tutto ciò che facciamo, ma si tratta invece di ritrovare un punto di incontro, trovare il senso profondo della nostra esistenza. Le nostre menti sono giardini fertili in attesa di sbocciare. E l’ozio non è nostro nemico, e non è neanche di ricchi e scansafatiche, non è neppure un lusso per pochi, ma una necessità.  È un momento solo nostro per costruire e ritrovarci, come direbbe Voltaire “per coltivare il nostro giardino”.[5] 


[2] Russel Bertrand, Elogio all’ozio, Milano, Tea, 2012

[5] Candido o l'ottimismo, Traduzione e cura di Stella Gargantini, Introduzione di Giuseppe Galasso, Milano, Feltrinelli, 1991

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