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Complessità ed Equidistanza

Immagine del redattore: tentativo2lstentativo2ls

Mai come in questo periodo, coincidente con l’acuirsi del conflitto 1sr4elo-p4les+in3se, abbiamo sentito centrale, nel dibattito pubblico, il concetto di Complessità. Invocato, martoriato, innalzato a vessillo di ogni argomentazione agnostica.


Ci siamo ritrovati di fronte alle mille deformazioni che hanno reso un metodo – un metro per liquidare le posizioni più superficiali – una causa – metro per non liquidarne alcuna.


Come negare l’estrema complessità di un equilibrio che non sembra nemmeno potersi configurare idealmente, dalle molteplici e opache facce; di decenni densi di mutevoli e sempre nuovi protagonisti.


La titanica complessità delle vicende umane è destabilizzante ma per affrontarla - se si decide di farlo - non basta riordinarla, limitarci a studiare senza prendere posizione o per lo meno individuare cosa sia andato storto, cosa si poteva e non poteva fare. 


Non si può rimanere equidistanti da tutto nel nome della complessità, sperando in una fantomatica oggettività assoluta che possa trarci fuori da ogni discorso; con la scusa dell’imparzialità ci si convince di poter uscire dal contesto per guardarlo dall’alto, animati dalla convinzione – o una sorta di potente speranza – che porsi tra gli astanti e farsi spettatori muti sia l’unica ragionevole reazione di fronte a tanta incomprensibile sofferenza e al mescolarsi perpetuo di cause e variabili che paiono diluirsi tra loro.


Equidistanza.

È l'altra parola che aleggia nell'aria ogni volta che si parla di questo conflitto – che ancora, mentre scriviamo non sembra rallentare nemmeno di una singola goccia di morte- e che quasi nessuno, se non chi la critica, osa pronunciare. L'equidistanza è la posizione di chi usa la complessità come scusa per il proprio (dis)interesse o come giustificazione della propria stasi. 

L'equidistanza è lo stadio iniziale di un’anedonia sociale e politica che nega quell’eterno ripensamento, lo scontro con le proprie contraddizioni e il doloroso riassestarsi delle convinzioni, proprio di ciò che non è immediatamente comprensibile, ma complesso e lontano da noi.


L’inganno è che si insinua nei giornali, nei salotti televisivi, sottoforma di presa-di-coscienza ponderata, come fosse la risposta ad una polarizzazione rabbiosa, alla politica urlata e all’irrazionalità emotiva che si propaga da ogni notizia; porsi in un non-luogo ideologico non è solo la comoda scelta di chi decide di non scegliere, ma un prodotto di reazione immediato, quasi fisiologico, che si crea dal continuo rimescolarsi di una furia mediatica e istituzionale che chiede solo cieca partecipazione. 


Non cambia nei termini, l’effetto, questa anti-narrazione degenera in un’emancipazione dalla Storia – un oblio di quest’ultima - che viene contemporaneamente eretta – poiché così complessa e inerte - a garante di quell’indecidibilità che pare irrinunciabile. 

Lo sforzo necessario è ampio: il sovrapporsi placido delle notizie, il loro mutare in numeri e aneddoti e curiosità, diventare rumore sommerso e costante, rende la Complessità congenita della situazione caotica. 



E in questo caos che va scardinato e non legittimato da un pallido richiamo al silenzio, fiorisce un moralismo completamente fuori tempo, basato solo su delle istantanee che, per quanto drammatiche non possono racchiudere tutta la storia, e che sventolano un'infida innocenza davanti all'orrore della guerra che si sarebbe dovuto mostrare ben prima.


Con la scusa della complessità, rinunciando all’onere di una scelta, non rimangono che i concetti sgualciti della post-verità, e deleterie posizioni apolitiche. 

Prendere posizione significherà sempre semplificare qualcosa ma è l'unico modo di orientarsi per essere pronti ad agire.  Prendere posizione è incamminarsi su un percorso dissestato, e aprirsi agli equivoci e ai filtri che renderanno parziali tutte le articolazioni, e le implicazioni del proprio pensiero, ma è in questo scontro che si mostra il volto del presente e il suo dramma e la sua complessità. Non prendere una decisione è un atto sociale nella stessa misura in cui lo è l’attesa silenziosa di un cambiamento.

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