Da sempre vi è una connessione intima tra specchio e identità.
Oggetto semplice e ordinario che però fungerebbe da dispositivo nella formazione dell’io, e dell’identità personale. Socrate e Seneca lo raccomandavano come strumento per conoscere sé stessi, quasi implicasse l’idea di uno sforzo intellettuale verso la verità, la realtà. Non furono però i soli a rimanerne affascinati.
Sia in ambito artistico sia in ambito letterario, lo specchio compare come oggetto variamente connotato. Sul tema vi sono numerosi contributi e studi, si fa presente però una distinzione, sul significato che ha lo specchio per il bambino prima della formazione del suo io e della sua identità, e quello che può avere nel soggetto adulto, che si presuppone abbia un’identità già acquisita.
Specchio che si rivela combaciante alla realtà, restituendola nella sua concretezza, ma anche specchio perturbante, che introduce l’alterità e rivela conflitti. Una collisione tra come ci sentiamo e come ci vediamo; tra come ci vediamo noi e come ci vedono gli altri. Un continuo rinvio alla relazione e al confronto con il mondo sociale. Infatti, lo specchio non risulta essere mero oggetto, ma simboleggia anche lo sguardo “dell’altro”.
Ancora prima degli studi nell’ambito della psicanalisi, come possiamo trovare in J. Lacan, lo specchio è oggetto più che altro di osservazioni dal carattere aneddotico (ad esempio Darwin che descrive la reazione del figlio davanti allo specchio). Durante il XIV Congresso internazionale di Psicoanalisi di Marienbad nel 1936, però, Lacan introduce per la prima volta il concetto di “stadio dello specchio”. Le sue considerazioni prendono come campione bambini fra i sei e i diciotto mesi, e delineano tre tappe, che sarebbero fondamentali nella presa di coscienza del bambino innanzi alla propria immagine riflessa.
Momento fondamentale nella formazione e nello sviluppo della sua psiche. Nella prima fase, il bambino identifica la propria immagine come quella di un altro, uno sconosciuto. Nella seconda, è in grado di riconoscere l’altro, ma solo come immagine, non come reale. Infine, vi è la terza, egli riconosce l’altro come propria immagine riflessa concreta.
Si passa da una frammentazione del sé alla consapevolezza di un tutto unitario. Questa idea di Lacan si diffonde soprattutto negli anni ’70 e ’80 e sarà alla base di diversi esperimenti. Questi dimostreranno la veridicità di tale teoria, mostrando un percorso abbastanza univoco nei bambini. Successivamente, verrà poi ripresa anche da Winnicott, il quale sosterrà che, prima dello “stadio dello specchio”, vi sarebbe un’altra fase: quella in cui lo specchio del bambino è il volto stesso della madre. Infatti, quando lo sguardo del lattante incontra quello materno, egli non vede solo la madre, ma anche la sua attitudine e il suo coinvolgimento emotivo in lui.
Tutto ciò che il bambino è, il suo star bene o il suo star male si riflette nel volto materno, che deve rispondere come uno specchio. Se il viso materno non è responsivo, il bambino non si vede più. In età adulta, tutto questo viene interiorizzato, perciò, da questa fase dipenderà anche il rapporto con la propria immagine.
Ritornando alla possibile valenza perturbante dello specchio, bisogna menzionare la distinzione tra ‘heimlich’ (ciò che è confortevole, tranquillo) e ‘unheimlich’ (ciò che è sospetto, poco rassicurante) proposta da Freud.
Infatti, lo specchio non sempre viene vissuto in maniera rassicurante. Sempre in letteratura, Pirandello, nella sua opera “Uno, nessuno, centomila”, si concentra sul risvolto drammatico che questo oggetto può avere, diventando causa non solo di una perdita di identità, ma anche della sua possibile frammentazione, conducendo la persona a un cammino di sofferenza e tormento.
In molti casi, tutte le volte che un soggetto si mette di fronte a uno specchio cerca di adeguare la sua immagine esteriore a un modello preesistente e in relazione a un destinatario. Per questa ragione si parla di confronto con il mondo sociale come già citato. Tuttavia, alcuni individui, in base al loro grado di straniamento, possono sviluppare il bisogno compulsivo di osservare il proprio viso o il proprio corpo in cerca delle più piccole imperfezioni, diventando così vittime dell’incertezza.
Riprendendo la distinzione fatta da Freud, ecco che si palesa dunque l’unheimlich, lo specchio che rivela un’immagine che non ci si aspetta. Lo specchio diventa un nemico, rivela ciò che non si vorrebbe vedere. Per concludere, è chiaro di come emergano in maniera inequivocabile le ambivalenze dello specchio, considerato non solo come semplice oggetto, ma anche come riflesso della propria persona in senso ampio. Per questo motivo le sue caratteristiche hanno da sempre stimolato l’immaginario umano, che pur provando a inserire le sue sfumature in schemi teorici, ne riconosce ancora la sua complessità.
Fonti: Recalcati. M (2012). Jacques Lacan. Desiderio, godimento e soggetivazione. Raffaello Cortina Editore. Bucchi. F (2007). Specchio e identità personale: riflessioni pedagogiche.
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