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Roghi di libri: la pratica della biblioclastia nel tempo e le sue conseguenze

Immagine del redattore: tentativo2lstentativo2ls

Nazi youth brigades burning "un-German" works by Jewish and left-wing authors at the library of the Institut für Sexualwissenschaft, 1933


La memoria di una civiltà nasce con la sua conservazione.

L’atto di conservare non è mai neutrale, la conoscenza può essere vulnerabile, precaria, delicata, ma allo stesso tempo pericolosa.


Sin dall’antichità le biblioteche hanno svolto un ruolo importante per la conservazione, basti pensare alla grande biblioteca del re assiro Assurbanipal contenente migliaia di tavolette di argilla. Grazie allo studio delle tavolette ritrovate per mano dell’archeologo Layard, capiamo che la biblioteca reale di Assurbanipal fu forse il primo tentativo di riunire in un’unica struttura l’intero corpus di conoscenze disponibili all’epoca. Le biblioteche e gli archivi della Mesopotamia, in particolare la biblioteca di Assurbanipal, mostrano che il mondo antico riteneva importante accumulare e preservare la conoscenza attraverso metodi sofisticati come l’organizzazione delle tavolette di argilla, l’aggiunta di metadati per immagazzinare e ritrovare i testi all’ampliarsi delle raccolte.


Queste raccolte erano spesso richieste da sovrani che vedevano nell’acquisizione della conoscenza un contributo al loro potere. Più volte, infatti, venivano sottratte tavolette di argilla agli stati vicini e nemici così da privarli del sapere e indebolirli. Le biblioteche quindi erano necessarie per il futuro, per consultare e mettere a disposizione il sapere del passato in esse contenuto. Il lavoro di Layard portò certamente alla luce miracoli di acquisizione e conservazione, ma ovunque scavasse c’erano anche tracce di fuoco e violenza. Strati di cenere, oggetti distrutti, non si riesce a capire se la biblioteca fosse stata presa di mira in modo specifico, benché sopravvivano tracce della distruzione di specifiche tavolette (come i trattati diplomatici).



Nella nostra coscienza collettiva c’è però una biblioteca leggendaria che non ha rivali: la Biblioteca di Alessandria. Non sappiamo praticamente nulla sul suo funzionamento, ma sembra che oltre a un’evidente ambizione di acquisire e conservare la conoscenza, si volesse diffondere la cultura. Aftonio, che scriveva nel IV secolo, parla di “depositi […] aperti a quanti fossero desiderosi di studiare, un incoraggiamento a tutta la città perché raggiungesse la saggezza”. Quando si parla della Biblioteca di Alessandria, il più delle volte è per menzionare la sua distruzione: quell’edificio imponente, colmo di conoscenza, fu raso al suolo da un violento incendio. In un certo senso la sua fine è diventata importante quanto la sua esistenza, se non di più. La conferma viene dal fatto che il resoconto classico, secondo cui la biblioteca fu consumata da un fuoco apocalittico, è un mito. Ad ogni modo, ciò su cui si trovano d’accordo tutti gli storici è che andò perduta tra le fiamme, ma le cause specifiche ci sono ignote. L’incendio fu prima attribuito all’esercito di Cesare, poi alla foga anti pagana dei cristiani del IV secolo e infine ai conquistatori arabi del VII secolo. Per Gibbon la Biblioteca di Alessandria era una delle grandi conquiste del mondo classico, tuttavia, egli attribuisce la sua distruzione a un lungo e graduale abbandono, simbolo della barbarie che travolse l’impero romano, nonché alla crescente ignoranza. Il rovescio della medaglia, ovviamente, è che i libri e il materiale archivistico sono ritenuti importanti non solo da coloro che desiderano conservare e proteggere il sapere, ma anche da chi vuole distruggerlo.


Sono tanti i motivi per cui un libro può rovinarsi, a partire dalla scarsa qualità dei suoi materiali, passando per innumerevoli batteri dai nomi esotici o disastrosi incidenti meteorologici, fino agli incendi accidentali. Ma l'eliminazione per mano dell'uomo è l'unica che risponde alla premeditazione ed è, quindi, la più controversa. Se l’atto di conservare non è mai neutrale, ancora meno neutrale è l’atto del distruggere, i roghi nazisti ne sono l’esempio più tristemente noto. Stiamo parlando dei cosiddetti Bücherverbrennungen, i roghi di libri. Sul selciato di Bebelplats a Berlino ci sono incise le parole “Là dove si bruciano i libri, si finisce bruciando gli uomini”. Sono i versi del poeta tedesco Heinrich Heine. Qui il 10 maggio 1933 avvenne il rogo in cui i nazisti bruciarono circa 25.000 libri ritenuti pericolosi, dando inizio a una lunga storia di censura, tipica dei regimi totalitari. Tra i libri bruciati troviamo quelli di Marx, Freud, Heine, Hemingway, Marcuse, Proust, solo per citarne alcuni, ma la lista è lunga.


Sotto gli occhi di una folla osannante di circa quarantamila persone, un gruppo di studenti marciava cerimoniosamente verso il fuoco intonando i feuersprüche, una sorta di formule magiche dedicate al fuoco. Gli studenti desideravano mettersi in buona luce con il nuovo regime e questo rogo di libri era una messinscena propagandistica attentamente pianificata. Quella notte si videro scene simili in tante altre località del paese. Quei roghi furono un chiaro segnale premonitore dell’attacco alla conoscenza che stava per essere scatenato dal regime nazista


Ma il sapere è tuttora sotto attacco. Oggi le biblioteche e gli archivi continuano ad affrontare molteplici minacce, essendo l’obiettivo di individui, gruppi e persino nazioni decisi a negare la verità e a sradicare il passato. Le biblioteche e gli archivi sono un pilastro per la democrazia, lo stato di diritto e la società aperta, in quanto strutture che permettono di aggrapparsi alla verità. Gli innumerevoli attacchi che hanno subito nel corso dei secoli vanno considerati una tendenza preoccupante nella storia dell’umanità. Già, ciò che scrisse Ray Bradbury nel celeberrimo Fahrenheit 451 non è frutto della fantasia e se pensiamo che questi episodi appartengano solo al passato, ci sbagliamo di grosso.


La sera del 25 agosto 1992 delle bombe cominciarono a martellare un edificio in Bosnia, nella città di Sarajevo. Non si trattava di bombe comuni, quelle erano bombe incendiarie lanciate per appiccare subito il fuoco al bersaglio, soprattutto se combustibile. L’edificio colpito era la Biblioteca nazionale e universitaria della Bosnia ed Erzegovina, colpita dalla campagna di annientamento dell’allora presidente serbo Milošević. Non fu colpito nessun edificio nelle vicinanze, l’unico bersaglio era la biblioteca. Per bruciare del tutto la biblioteca impiegò tre giorni. Secondo alcune stime, fu distrutta più della metà degli archivi provinciali bosniaci, oltre ottantuno chilometri di storia. Siamo di fronte a una sorta di “tecnica di guerriglia” che mira a logorare nel profondo l’identità di un intero popolo, spogliandolo della sua memoria, lasciando terra bruciata alle generazioni future, rendendo impossibile qualsiasi rivendicazione futura di residenza e proprietà, come pure il diritto stesso a esistere.


Ma non solo, il furto del sapere ha una lunga storia. Per esempio, gli archivi sono da sempre una parte essenziale dell’impresa coloniale: le grandi nazioni documentavano la gestione della colonia in modo rigoroso e dettagliatissimo, tanto più se il dominio sulla colonia era particolarmente rigido. Questi archivi sono perciò di fondamentale importanza per la decolonizzazione e l’indipendenza delle ex colonie, essi documentavano l’operato spesso imbarazzante e crudele del governo coloniale e per questo si cercò di eliminarli, bruciarli, alcuni furono anche trasferiti negli archivi delle grandi potenze coloniali, quando invece si tratta di fonti preziose per la storia e l’identità delle nuove nazioni, degne di essere preservate.


Il trasferimento del sapere delle comunità può avere conseguenze molto gravi, anche quando non viene distrutta. Quando le comunità non hanno accesso alla propria storia, si può controllare e manipolare la maniera di raccontarla, compromettendo così gravemente la loro identità culturale e politica. Molte ex colonie delle potenze europee sono nazioni indipendenti da vari decenni, ma la storia di alcune è tuttora rinchiusa in archivi stranieri, ed esse ne risentono. Questo è il caso di India, Malesia, Algeria, Iraq e tanti altri popoli ancora. Le collezioni librarie trasferite potrebbero contribuire a rinforzare l’identità culturale di questi popoli ed è fondamentale che le società che si sono viste sottrarre questi materiali possano riprendere il controllo della loro storia. Questa apocalisse bibliofoba ci dà la misura di una damnatio memoriae forzata da parte dell’umanità, che relativizza la nostra eredità culturale, già limitata a quel poco che il caso ha preservato da tante generazioni di custodi della verità e della moralità.


Ogni libro oggi presente è un sopravvissuto e ignorare ciò genera solo una falsa sicurezza in cui la menzogna diventa verità, in cui trova spazio l’accondiscendenza a chi nasconde o ignora deliberatamente il sapere.

 
 
 

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