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La Storia nell’epoca della riproducibilità tecnica

Immagine del redattore: tentativo2lstentativo2ls

Lo studio dell’iconografia e della cultura audiovisiva e fotografica ha assunto, specie negli ultimi decenni, una rilevanza particolare all’interno degli studi storici contemporanei. La possibilità di racchiudere in un'unica immagine le atmosfere e le dinamiche politiche, sociali e culturali di un’intera epoca ha reso possibile, anche a livello accademico e di ricerca, un intreccio, prima piuttosto osteggiato, tra la storiografia classica e il mondo artistico-letterario. Una fotografia o la scena di un film, anche di fiction, diventano non più solo uno strumento di corredo, utili ad illustrare concetti provenienti da ricerche “più tradizionali”, svolte negli archivi o su specifiche bibliografie, ma vere e proprie fonti, spesso indispensabili per cogliere realmente la dimensione storico-sociale di una determinata epoca.



Ovviamente, seppur la creazione di immagini e “icone” abbia origini ben più antiche, tale dinamica trova la propria maggior espressione nel Novecento, con la massificazione della comunicazione e l’evoluzione esponenziale dei mass media. L’epoca d’oro del giornalismo, la diffusione della fotografia, l’invenzione della radio e del cinema, sino ad arrivare alla televisione e ai computer, oltre che lo sviluppo di linguaggi visuali nuovi, emersi dalla Belle Époque, come la pubblicità, rivoluziona drasticamente il rapporto del pubblico con l’immagine.



Il XXI secolo, come descritto dal filosofo tedesco Walter Benjamin, rappresenta l’epoca della riproducibilità tecnica dell’opera d’arte. Mai prima di allora la fruizione artistica aveva raggiunto dimensioni di massa paragonabili, come ben compreso, ai regimi totalitari che sull’estetizzazione dell’ideologia e della politica hanno basato la loro fortuna propagandistica. L’opera d’arte perde la sua dimensione locale, dovendo necessariamente esistere “qui ed ora”, arrivando ora in ogni angolo del globo, e con essa la sua forza espressiva e rivoluzionaria, ma anche il suo valore di testimonianza.


La storia del Novecento è una storia di e per immagini. Mai come nel secolo scorso la politica e la società ha dovuto confrontarsi e adattarsi a linguaggi sempre nuovi e in continua evoluzione come quelli audiovisivi. Un’intera generazione, quella dei baby boomers, si è formata e ha plasmato il proprio immaginario collettivo in un mondo in cui la comunicazione audiovisiva di massa è diventata la principale lente attraverso cui leggere il mondo. Si tratta di una generazione di “nativi analogici”, la cui identità si è fondata su questi nuovi linguaggi comunicativi.


Il cinema e la fotografia sono diventati, quindi, non solo un’espressione artistico-estetica o uno strumento informativo, utile a chiarire ed accompagnare la parola scritta, sino a quel momento unico vero strumento “universale”, bensì si sono fatti essi stessi motori della Storia. Quanti casi ci sono stati nel corso del Novecento di singole fotografie talmente potenti, o talvolta studiate ad arte, da essere in grado di dar vita ad interi movimenti politici, rivoluzioni, miti e icone, smuovendo le masse a livello internazionale. Dal movimento pacifista contro la guerra in Vietnam (vedi articolo) alla Rivoluzione Culturale, dallo sbarco sulla Luna a Piazza Tienanmen e così via.


Di fronte ad una simile importanza assunta della cultura visuale nella storia contemporanea, nonché al ruolo fondamentale esercitato da registi, documentaristi e fotografi quali spesso testimoni diretti e custodi della memoria visuale, risulta particolarmente incomprensibile l’ostilità, più o meno marcata, che il mondo storico-accademico, soprattutto italiano, ancora dimostra nei confronti del mezzo audiovisivo. Un’ostilità che, spesso, non si limita solo alla fruizione e divulgazione della ricerca storica, non considerando il documentario o i nuovi strumenti social come mezzi di divulgazione validi a livello scientifico, ma persino, nelle generazioni più anziane, faticando ancora ad accettare filmati, fotografie o prodotti visuali quali fonti utilizzabili nelle proprie ricerche. Come è possibile studiare un determinato periodo storico senza scavare a fondo nell’iconografia che quella stessa epoca ha prodotto?


La cosa che appare più preoccupante è che tale “spazio vuoto” che il mondo storico accademico sta lasciando, ostinandosi a chiudersi nella saggistica tradizionale e faticando a comprendere come anche la ricerca storica sia entrata ormai nell’epoca “della riproducibilità tecnica”, non farà altro che essere occupato da chi, consapevole che la Storia ha sempre un grande mercato, occuperà quello spazio perché non vincolato da legami accademici (giornalisti, appassionati, documentaristi) fornendo al grande pubblico prodotti inevitabilmente dal valore scientifico minore.


Sarà degli storici del futuro il compito di sdoganare definitivamente, anche nelle università e nella galassia “intellettuale”, strumenti audiovisivi quali il documentario, il podcast o la divulgazione social, rendendo il mezzo visuale, l’unico realmente in grado di far immergere completamente il fruitore nella storia che vogliamo raccontare. Una storia visuale, “Visual history”.


Come indicato sul loro sito dalla stessa Società italiana per lo studio della Storia contemporanea: “Le fonti audiovisive sono ormai riconosciute a più livelli come un patrimonio storico culturale. Si tratta di interrogare queste nuove fonti e svelarne l’informazione latente: leggere il documento e il film come il discorso di una società su sé stessa. […] Negli ultimi vent’anni il tema dell’uso pubblico della storia s’intreccia con l’utilizzazione dell’audiovisivo come fonte per una nuova interpretazione, che, in alcuni casi, si contrappone ad interpretazioni consolidate dal punto di vista storiografico”.


La ricerca per “compartimenti stagni” ormai non è più qualcosa di applicabile, se non in una visione elitaria della storiografia. Come ben indicato dalla “Public History”, un concetto di origine anglosassone che ultimamente sta prendendo piede anche in Italia, comunicazione, arte, tecnologia e Storia sono ormai mondi che non possono più rimanere separati.


FONTI/PER APPROFONDIRE

F. Anania, Fonti audiovisive e uso pubblico della storia su Società italiana per lo studio della Storia contemporanea (https://www.sissco.it/fonti-audiovisive-e-uso-pubblico-della-storia-747/).

Public History. La storia contemporanea, a cura di V. Colombi e G. Sanicola, Milano, Feltrinelli, 2017.

La storia liberata: nuovi sentieri di ricerca, a cura di P.B. Farnetti e C.D. Novelli, Milano, Mimesis, 2020

W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica, Torino, Einaudi, 2000.

L’uso delle fonti audiovisive per lo studio della storia, a cura di L. Cortini e A. Medici, Roma, Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, 2012.

G. Fantoni, Italy through the red lens. Italian politics and society in communist propaganda film (1946-1979), Londra, Palgrave Macmillan Cham, 2021.

R. Prédal, Cinema: cent’anni di storia, nuova edizione aggiornata, Milano, Baldini & Castoldi, 2014.

R. Taylor, Film propaganda. Soviet Russia and Nazi Germany, Londra, I.B. Tauris Publishers, ed. 1998.

I. Zannier, La massificazione della fotografia in Fotografia italiana dell’Ottocento, Milano, Electa-Alinari, 1979.

Visual history. L'uso didattico delle fonti iconografiche. Sitografia su Historia Ludens (https://www.historialudens.it/biblioteca/413-la-visual-history-l-uso-didattico-delle-fonti-iconografiche-2.html)


 
 
 

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