
La trasfigurazione nietzschiana:un’antropologia digitale al rovescio
Dice Zarathustra: "Tre metamorfosi io vi nomino dello spirito: come lo spirito diventa cammello, e il cammello leone, e infine il leone fanciullo".
Se vi è mai capitato di sentir nominare, durante qualche svogliata lezione di filosofia, i cosiddetti “filosofi del sospetto”, ve ne presento il re: Friedrich Nietzsche. Classe 1844, figlio di un pastore protestante e appassionato studioso di filologia, Nietzsche è stato uno spartiacque della filosofia occidentale. Distruttore di tradizioni e certezze del suo tempo, fine aforista e illustre paziente psichiatrico, nonché padre di una delle filosofie più brutalmente traviate dalle ideologie nazionaliste dello scorso secolo, che ha metaforicamente inaugurato con la propria morte.
Inabissarsi nella filosofia nietzschiana è un’impresa tanto affascinante quanto virtualmente inesauribile, mi perdonerete quindi se qui accenneremo solo ad uno dei suoi contenuti, per tentare di rileggerlo in una chiave più consona ai nostri tempi.
Le tre fasi della metamorfosi nietzschiana: il cammello, il leone ed il fanciullo. Ognuna di esse rappresenta allo stesso tempo tanto una fase della filosofia di Nietzsche, ed in qualche modo quindi anche della sua stessa vita, tanto le tappe del nuovo percorso evolutivo previsto da Friederich per l’uomo: la strada verso l’übermensch, l’oltre-uomo. Vediamole brevemente:
Il Cammello: la prima fase della filosofia nietzschiana, quindi il rigoroso studio filologico dei classici greci. Come il cammello, che porta il suo pesante carico nel deserto, anche il filosofo assume il peso del passato sulle proprie spalle, iniziando il suo percorso dalle lontane basi della cultura occidentale. Allo stesso modo, anche l’uomo in questa sua prima forma vive schiacciato dal peso del passato, costretto da secolari tradizioni, convenzioni e convinzioni che lo imbrogliano in un serrato gioco di catene.
Il Leone: il simbolo della forza, della violenza: la cosiddetta fase illuministica nietzschiana. Dominata da atteggiamenti critici e decostruttivi, nonché fase che termina con l'annuncio della "morte di Dio", il crollo di tutte le certezze e dei valori della tradizione. Viene per questo definita "Filosofia del Mattino", per liberare con i raggi del mattino gli uomini vittime delle tenebre del passato. É qui che il leone prende simbolicamente forma come animale che morde, strappa e lacera, incarna quindi lo spirito critico di questa fase e della scienza, ma non come insieme dogmatico di sapienze, ma come metodo di emancipazione dell'uomo dalle menzogne delle false credenze. Ugualmente, in questa fase l’uomo si è liberato dai pesi che lo opprimevano, ma non se ne è solo liberato, li ha uccisi li ha fatti tramontare e assieme ad essi una parte si sé, perché solo attraverso il tramonto v'è l'alba, e solo la morte dell'uomo in tutte le sue radici può portare alla resurrezione dell'oltre-uomo.
Il Fanciullo: è qui, quando tutto ciò che si pensava vero, eterno, assoluto, viene meno, che si può provare lo sgomento del nulla, ma anche l'ebrezza della libertà: tutto diventa di nuovo possibile nella fase del fanciullo e con l'avvento dell'oltre-uomo. Il fanciullo è la rappresentazione esacerbale della moralità libera da schemi preconcetti, giusta perché giusta in sé stessa e non al di fuori. Il Fanciullo è libertà, e libertà è oltre-uomo. Chi è quindi l'oltre-uomo? Per quanto la storia abbia tentato di insegnarci il contrario, non è certamente una razza superiore e neppure un'élite sociale. È un uomo che è stato capace di abbattere sé stesso, di morire, per potersi riedificare, per poter rinascere sradicato dal terreno delle menzogne metafisiche in cui è cresciuto. È un essere libero, capace di guardare negli occhi un mondo sdivinizzato e disincantato nella sua più crudele realtà.
Proviamo ora a raccogliere queste fasi, partendo dall’ultima, e a rileggerle stravolgendone la chiave di interpretazione in un’ottica più contemporanea e digitale:
Il fanciullo vive nel proprio mondo, è libero sì, ma ha contatto solo con ciò che lo circonda e ciò che può esperire. È un uomo analogico, non ha la forza, lo slancio di attingere al proprio essere da ciò che supera il recinto in cui è nato e sta crescendo. La sua è una vita tranquilla, perché libera dal peso di tutta la realtà che non lo tange. Quando il velo che lo separa da essa si squarcia, è il tempo del leone. È il momento in cui colui che ha vissuto la libertà fanciullesca ne è uscito vorace di informazioni, famelico di ogni frammento di realtà che finora gli era sconosciuto, entusiasta del livello di connessioni e aggiornamenti che le tecnologie della sua epoca sono in grado di offrirgli. Fino al momento in cui, consapevole o meno, ne verrà schiacciato.
Oppresso dalla consapevolezza, dalla conoscenza di ogni cosa che accade nel mondo e della sua piccolezza in confronto. Indigesto di informazioni, articoli, cronaca, giornali, podcast, ultim’ore, aggiornamenti, novità allarmanti, eventi eccezionali, finali imprevisti e notizie scioccanti, arriverà al punto di non saper più riconoscere il vero dal falso, sentirà un fisiologico bisogno di quell’abbuffata di notizie e connessioni che col passare del tempo non faranno altro che opprimerlo, curvandogli le spalle fino a raggiungere, appunto, il cammello.
Se ci fermassimo qui, daremmo una visione troppo fatalista del presente, non possiamo esimerci dal tentare almeno di immaginare un nuovo stadio di queste metamorfosi, una prospettiva di futuro che possa ridarci la speranza di poter avere il controllo su ciò che abbiamo sprigionato col WWW: l’aquila.
E perché proprio l’aquila? Innanzitutto, vola. Si libera non solo dei pesi che la schiacciano, ma anche delle catene che la trattengono al suolo, al vivere ogni evento come parte di esso poiché nel mezzo di esso. Per essa, invece, tutto accade al di sotto di lei. Di tutto ha cognizione ma di nulla ha conseguenze. La sua vista è una delle più rinomate del mondo animale, neanche la più insulsa delle informazioni le può sfuggire, ma comunque non la può tangere. L’aquila osserva tutto senza farsene travolgere, l’aquila può essere sempre al corrente di tutto ma comunque scegliere in prima persona in cosa immischiarsi e il peso da dare ad ogni cosa, un peso attribuito non dal terreno caotico dell’azione ma dalla distaccata visione del tutto. È a lei, forse, che dobbiamo pensare quando ci sentiamo sovrastati dalla realtà e dal suo avvenire. Ad un’aquila, in alto, libera nei cieli, che ci osserva, e che non sogna certo di cambiare la brezza in cui vola se ciò che è a terra non è più importante del tutto di cui fa parte.
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