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L'impossibilità matematica della Democrazia. Il Teorema di Arrow e la violazione dei principi di Equità.

Immagine del redattore: tentativo2lstentativo2ls

Discernere le strutture istituzionali ed i meccanismi che sorreggono l’organizzazione della società civile è un tassello utile se si vuole entrare nella dimensione attuale delle cose per osservarle internamente e tentare di proporne la modifica.


La prima distinzione che bisogna fare nella metodologia con cui si intende analizzare le istituzioni politiche è tra giudizio consequenzialista e giudizio deontologico.


Con l'aggettivo consequenzialista si denota un giudizio che valuta un determinato oggetto in base all’effetto che produce; con l'aggettivo deontologico si denota il giudizio che valuta, dello stesso oggetto, il valore a priori.

 

Per comprendere meglio le falle dell'attuale sistema di scelta sociale che governa le istituzioni democratiche occorre adottare la seconda tipologia, affinché si disponga di una lente logica con cui trarre conclusioni più chiare. La branca delle scienze sociali che si occupa di questo studio è detta social choice theory, ed una delle conclusioni più rimarchevoli che la riguarda è quella tratta dal Teorema di Arrow, datato 1963, in cui vi è dimostrata l'impossibilità matematica che delle istituzioni democratiche possano tutelare in esse gli standard minimi di equità nella competizione, qualora avessero come fine progettare un sistema decisionale stabile e razionale. Cosa significa?

 


Innanzitutto, risultano necessarie le definizioni basilari dei principali agenti e meccanismi coinvolti: è comunemente noto come un sistema decisionale tra i maggiormente adottati sia quello governato dalla regola della maggioranza: preso un gruppo di individui di dimensione N, la maggioranza M dello stesso, corrispondente ad (N+1)/2, decreta la vittoria dell’agente che ha ricevuto tali voti.

Gli agenti partecipanti al voto decisionale dovranno rivelarsi razionali, ossia interessati a massimizzare la propria utilità. Per esser così definiti dovranno rispettare due criteri: disporre di un ordinamento di preferenze - riguardante ad esempio tre opzioni elettorali - completo e transitivo. Date le tre opzioni, l’ordinamento di preferenze di un agente votante è completo se egli può ordinarle linearmente (x preferito ad y; y preferito a z); è transitivo se, dati x, y e z, le preferenze siano coerenti le une con le altre: nell’esempio dato, da ciò seguirà che x è preferito a z.

 

A prima vista, tali sarebbero le condizioni sufficienti affinché l’esito del processo sia razionale, eppure non è così: all’atto della votazione collettiva, sarà tanto più probabile, quante più saranno le opzioni elettorali, che il risultato si dimostri irrazionale ed ancor peggio instabile: gli esiti delle votazioni non rispetteranno le transitività individuali, tradendole logicamente; essi dipenderanno sostanzialmente da come gli agenti votanti si accorderanno nel votare strategicamente.

Qual è il punto rilevante: il meccanismo della maggioranza diviene inaffidabile.


Il paradosso di Condorcet, appena introdotto e che deve il suo nome al matematico che nell’800 lo formalizzò, ha obbligato per secoli i sistemi elettorali a trovare delle soluzioni alternative: dal metodo di Borda all’agenda setting, fino alla teoria del votante mediano; ognuna delle appena elencate proposte covava inevitabilmente il problema poi esposto negli anni sessanta da Arrow.


Questo problema è la effettiva non-democraticità dei sistemi elettorali adottati dalle nazioni considerate democratiche, e che tuttora persiste indisturbato, tutelato da una coltre di silenzio.


Per consentire ai risultati di essere affidabili, ossia di poter essere replicabili qualora si mantenessero gli stessi input preferenziali, tutti i metodi sopracitati dovranno violare i quattro criteri minimi di equità democratica.

Essi, come enunciati da Arrow, sono:

  1. Condizione di non-dittatorialità: non deve esserci, tra gli agenti partecipanti, nessun individuo che determini l’esito del processo decisionale imponendo come superiore il proprio ordinamento di preferenze.

  1. Condizione di ammissibilità universale: ogni agente partecipante è libero di adottare qualunque ordinamento di preferenze rispetto alle alternative disponibili.

  2. Condizione di ottimalità paretiana: dato un processo decisionale, se tutti gli agenti partecipanti preferiscono x rispetto ad y, allora anche la scelta collettiva dovrà riflettere una preferenza di x rispetto ad y.

  3. Condizione di indipendenza da alternative irrilevanti: dato un processo decisionale, la scelta collettiva non deve essere manipolata dagli effetti dell’inserimento, negli ordinamenti di preferenze, di una alternativa che non ne varia l’ordine (se x è preferito ad y ed y a z, l’aggiunta di una alternativa A deve rispettare e non variarne l’ordine).

 

Pur non andando nel dettaglio, ognuna di queste condizioni ci appare una ovvia necessità se si vuol definire un sistema decisionale democratico: ebbene ogni soluzione proposta al paradosso di Condorcet, comprese quelle che correntemente vengono  adottate, viola almeno una delle quattro.


Adoperando il “metodo di Borda”, le alternative irrilevanti di cui fa riferimento il quarto punto saranno oggetto di manipolazione per favorire un esito piuttosto che un altro.


Se si tenta il “metodo agenda setting”, l’individuo che imposterà l’ordine con cui dei diversi turni di votazione si susseguiranno lo farà in modo tale da favorire se stesso e sfavorire gli altri, imponendosi implicitamente sull’esito del processo come dittatore.


Nell’applicazione del “teorema del votante mediano”, suggerente come l’agente (centrista) che preferisce un opzione non estrema tenderà a vincere sempre, bisogna ridurre necessariamente ad una dimensione le diverse opzioni: in sostanza vuol dire obbligare i partecipanti a scegliere il proprio ordinamento considerando per tutte le opzioni un solo fattore di giudizio.

 

Come sottolineato da Clark, M. & S. Golder, in Principi di scienza politica “quando si designa un sistema decisionale si dovrà obbligatoriamente scegliere quale punto ignorare nel trilemma istituzionale di Arrow:



La maggior parte delle persone associa alla forma di democrazia corrente nelle istituzioni occidentali il valore, seppur decadente, quantomeno positivo di essere fondata su principi solidi e ligi al dovere, sancito nelle costituzioni, di renderla equa.


Se nella forma immediata il fenomeno democratico può presentarsi come valido, un'analisi deontologica rileverà come nella forma soggiacente vi si nasconde l’impossibilità latente del meccanismo stesso che permette alle istituzioni di riprodursi.


Negli anni recenti diversi studi sono stati fatti a riguardo, e seppure le acute osservazioni del Nobel Amartya Sen e le proposte di Blair e Pollack aiutino ad intravedere soluzioni migliori, rimane sorprendentemente paradossale quanto poco siano sperimentate e quanto gli agenti direttamente interessati in questo gioco decisionale, ossia gli elettori, siano per buona parte distanti dalla conoscenza dell’incompletezza sistematica in cui agiscono; conoscenza che probabilmente donerebbe la vena di consapevolezza atta a poter esprimere una volontà generale nel rivedere o forse stravolgere tale ordine delle cose.

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