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JORIS IVENS, L’OCCHIO DELLA RIVOLUZIONE

Immagine del redattore: tentativo2lstentativo2ls



Madrid 1937.

La guerra civile dilaga in Spagna.


Le milizie del Fronte Popolare lottano strenuamente per difendere la capitale dall’assedio franchista. «¡No pasarán!». Il grido di battaglia lanciato da Dolores Ibarruri diventa la parola d’ordine per gli antifascisti di tutto il mondo.


Volontari da ogni continente accorrono per arruolarsi nelle Brigate Internazionali. Arrivano anche giornalisti, scrittori, fotografi e cineasti, per raccogliere testimonianze dell’eroica battaglia in atto. Gli alberghi e i ristoranti di città come Barcellona, Madrid e Valencia vedono incontrarsi intellettuali di ogni sorta, pronti a dare il proprio contributo alla causa, in un fermento politico-culturale mai visto prima.


Proprio nella capitale, all’Hotel Florida, un regista e uno scrittore si danno appuntamento. Stanno lavorando insieme ad un documentario che racconti agli americani cosa sta accadendo in Spagna. Il primo è Joris Ivens, uno dei più importanti e talentuosi documentaristi del tempo, il secondo è Ernest Hemingway.


Il budget a disposizione è ridottissimo, ma il progetto appare ambizioso. Testi di Hemingway e John Dos Passos, musiche di Marc Blitzstein, doppiaggio (originale) di Orson Welles per l’inglese e Jean Renoir per il francese.


Della produzione e distribuzione se ne occupa la Contemporary Historians, Inc., una società fondata da Lillian Hellman, Dorothy Parker, Archibald MacLeish e gli stessi Dos Passos ed Hemingway. A suggellare il tutto, la magistrale regia di Joris Ivens, che, tramite una potenza visiva straordinaria, trascinerà lo spettatore nel pieno della guerra civile.

Il gruppo lavora sul campo per mesi, rischiando più volte la vita a ridosso del fronte. Lo stesso Hemingway, in un dispaccio apparso sul New York Times del 10 aprile 1937, dichiara: «proprio mentre ci stavamo rallegrando per aver trovato un posto d’osservazione così eccezionale al di fuori della zona pericolosa, un proiettile si conficcò nell’angolo di un muretto di pietra, sfiorando la testa di Ivens. Pensammo che fosse un colpo di rimbalzo e ci spostammo un po’, […] mi passò un altro proiettile sopra la testa. Cambiammo posizione, ma […] fummo sfiorati da altri due colpi». Anche Ivens, nelle sue memorie, non mancherà di ricordare la sua tragica esperienza: «vedemmo quattro aerei Caproni sganciare tre bombe. Erano le prime tre bombe che avessimo mai visto cadere nella nostra direzione. John (il cineoperatore) e io ci buttammo a terra. […] Caddero a circa mezzo isolato dal nostro cortile interno ed erano bombe da 500 libbre, come calcolammo poi. Dopo l’esplosione nel villaggio regnò il più assoluto silenzio. […] Il silenzio fra due persone può essere drammatico, ma non è nulla in confronto al tacere e al silenzio di cinquecento persone dopo l’esplosione delle bombe. Poi, però, il villaggio ferito grida il suo dolore».


Dopo un lungo e complesso lavoro di montaggio, finalmente, Terra di Spagna è pronto per essere proiettato. Viene organizzata un’anteprima privata alla Casa Bianca. Il presidente Roosvelt rimane estasiato dalla pellicola, la critica cinematografica molto meno, arrivando a definire l’opera di Ivens come l’ennesimo esperimento propagandistico di un autore troppo di parte.


Questo è l’elemento chiave che ha contraddistinto l’intera carriera di Ivens, dai primi cortometraggi tra i lavoratori olandesi e i minatori del Borinage, alle opere girate tra gli operai sovietici a quelle in Sud Italia, sino alla volontà di testimoniare le lotte rivoluzionarie di un intero secolo in Spagna, Cina, Indonesia, Cuba, Vietnam, Laos. Joris Ivens non ha mai voluto nascondere la propria identità politica, rendendola anzi, tramite l’utilizzo del documentario, l’elemento strutturale portante della sua espressione artistica. Un regista apolide, rifiutato dalla sua stessa terra natia, l’Olanda, per le sue idee marxiste e per l’appoggio alla lotta indipendentista nella colonia indonesiana, che decide di trasformarsi nell’occhio del popolo, nel cantore delle rivoluzioni e dei lavoratori, abbracciando a piene mani il principio vertoviano del kinoglaz, ma lasciando spazio alla poesia che pervade i suoi film.


Politica e poesia, un connubio straordinario che emerge dal lavoro di questo, purtroppo troppo sconosciuto, regista.


Quella di Joris Ivens è una vita straordinaria, avventurosa e artistica, che lo vede al fianco di molte delle personalità più celebri del XX secolo (lo stesso Robert Capa gli farà da direttore della fotografia nel 1938 in Cina per I 400 milioni).


Un documentarista che trova la sua ragione di vita nel testimoniare la complessità della sua epoca e tentare di sfruttare lo strumento cinematografico per cambiare la società. Dall’Unione Sovietica dei piani quinquennali (Komsomol) alla Seconda guerra mondiale (Il nostro fronte russo e Know your enemy: Japan), dalla ricostruzione del dopoguerra e il boom economico (Pierwsze lata, La rosa dei venti, L’Italia non è un paese povero) alla Rivoluzione culturale cinese (Come Yukong spostò le montagne), dagli scioperi del Belgio o dell’Australia (Borinage, L’Indonesia chiama) alle fattorie delle praterie americane durante il New Deal (L’energia e la terra). I film di Ivens diventano testimonianze straordinarie della storia globale del Novecento, interpretata attraverso la lenta critica dell’artista.


Nel 1989, poco prima di morire, firma il suo ultimo, monumentale capolavoro: "Io e il vento". Un testamento cinematografico in cui tutta la poesia e l’arte di Ivens si fondono sinergicamente nel tentativo del regista di realizzare il suo sogno d’infanzia, quello di catturare il vento.


Questo è il Cinema di Joris Ivens: il racconto degli ultimi, la poesia della realtà, l’epica delle rivoluzioni e l’arte di raccontare il nostro tempo, vivendo la Storia non da spettatore, ma da protagonista. Se Henri Cartier Bresson era definito “l’occhio del secolo”, senza dubbio Ivens deve essere ricordato come “l’occhio della rivoluzione”.



Fonti:


-J. Ivens, Io-Cinema, autobiografia di un cineasta, Biblioteca Longanesi & C., Milano, 1979.

-Articoli su Terra di Spagna e Joris Ivens sull’Enciclopedia Britannica: https://www.britannica.com/topic/The-Spanish-Earth

- L. French, CLASH OF THE TITANS: When ORSON WELLES met ERNEST HEMINGWAY to narrate THE SPANISH EARTH (May, 1937) pubblicato su “Wellesnet” il 18 luglio 2007.

-Terra di Spagna, J. Ivens, 1937 (versione italiana, curata dall’Unitelefilm caricata su YouTube dall’Aamod): https://www.youtube.com/watch?v=rXRNlcmMtZ0

De Brug, J. Ivens, 1928 (primo film): https://www.youtube.com/watch?v=BMsMOi_d7kY

-L’Italia non è un paese povero, J. Ivens, 1960 (opera girata in Italia, con sceneggiatura di Joris Ivens, Vittorio e Paolo Taviani, Valentino Orsini e Alberto Moravia e aiuto regia di Tinto Brass): https://youtu.be/mWGvKLv2nLA?si=C3dY61PQSBcufnBa

-Prima presentazione postuma de L’Italia non è un paese povero a Cannes nel 2000: https://youtu.be/gyGzmsjZs0s?si=0CjPP4sRRdgraCmC

-Joris Ivens, R. Destanque, 1983 (documentario sub eng): https://www.youtube.com/watch?v=ISjqWySw7YE



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