
Come osservando una persona che, procedendo nel suo cammino, si lascia periodicamente cadere, anche noi, ennesime generazioni alla soglia dell'essere giovani e prime, poi grandi e passate, siamo costrette ad osservare gli ennesimi atti di guerra, di violenza e di morte che forzano a ripetersi nella società, trascinandola sempre più al fallimento; portando con loro la curiosa percezione di una inevitabilità insita nel genere umano e pertanto una responsabilità equa ed unanime delle crudeltà più squallide di cui questi tempi odierni si stanno macchiando.
È nostra, strettamente nostra, un'altra responsabilità: quella di indagare i motivi concreti di tali percezioni sociali che sembrano così scontate; che appaiono come automatismi naturali, e che, attraverso uno sguardo più attento, rivelano di non esserlo.
è nostro dovere accingerci a comprendere i meccanismi civili che, in momenti cruciali come questi, iniziano ad ingranare; meccanismi così coesi e collaudati, funzionanti ormai da tempo in un verso che ha necessità di essere invertito.
Osservando il modo minuzioso in cui questi eventi tragici vengono comunicati e studiati, il modo in cui vengono in tal senso accompagnati, si giunge immediatamente a notare una porzione della sfera pubblica, ossia quella (presunta) intellettuale, dedita alla comunicazione, alla gestione dell'informazione ma in particolare al puntuale esercizio dell'indifferenza o peggio ancora dell'incoraggiamento, dipinto con un senso scientifico ed accademico, dunque neutrale e rigoroso, di tali atti di terrore.
Anni fa erano istituti politici, organizzazioni specializzate; oggi sono forum strategici, think tank di settore che, attraverso un sapore di serio professionismo, illustrano ed assecondano quotidianamente la peculiare cultura e le arti della guerra.
Nel 1969, un geniale, ed ancor di più coraggioso, giovane americano, pubblicò un saggio dirompente riguardante il modo in cui la guerra del Vietnam, allora in corso, veniva analizzata dalla nuova sfera intellettuale che andava creandosi nelle aule delle università più prestigiose, nelle accademie dedite al preciso studio della società. Il saggio di condanna era chiamato I nuovi mandarini; l'autore, il linguista Noam Chomsky.
Il libro, oltre che acuto, rivelò il carattere indecoroso con cui tale sfera supportò il compimento ed il proseguimento delle atrocità perpetuate nel conflitto asiatico, trascinando buona parte della popolazione prima nel credere che fosse un qualcosa di inevitabile, poi aggiungendo come fosse indistintamente responsabilità di tutti.
Rileggendo criticamente le pubblicazioni di illustri accademici, autorevoli economisti e politologi, Chomsky illumina la profonda assurdità di un apparato sociale che guarda alla guerra con la freddezza di un apparato militare, interessato al lato tecnico ed utilitaristico del terrore che nel frattempo si è generato, con una amoralità palesata da un senso di saggezza distaccata.
"La guerra ha rivelato una giovane intellighenzia, cresciuta nei principi del pragmatismo, assolutamente pronta ad assumere la direzione esecutiva degli eventi, penosamente impreparata per l'interpretazione intellettuale o per la determinazione idealistica dei fini. [...] Essi hanno assorbito il segreto del metodo scientifico applicato all'amministrazione politica. Sono liberali, illuminati, consapevoli. (...) Si direbbe che tutta questa gente è allineata al servizio della tecnica di guerra. Sembra che tra la guerra e costoro si sia stabilita una particolare affinità."
Tale citazione, che sembra descrivere così bene i nostri tempi, proviene invece dal saggio del 1917 di Randolph Bourne, The Twilights of idols, ripreso dal giovane linguista americano per sottolineare l'antica tradizione che unisce gli intellettuali e la guerra.
I "mandarini" di cui parla Chomsky furono una schiera di intellettuali e funzionari di stato cinesi del Diciassettesimo secolo asserviti al potere; i “nuovi mandarini" erano quei giornalisti, accademici, scienziati sociali che attraverso il loro lavoro informativo influenzarono e sostennero le campagne militari, le politiche estere e soprattutto plasmarono l'opinione pubblica.
Oggi, nel 2024, osserviamo il consolidato piano gerarchico da cui tale apparato dispensa annessioni di colpevolezza prima al nemico, poi al popolo, poi al momento storico ed infine all'essere umano stesso; ma estremamente di rado alla classe dirigente a cui è strettamente legato, sia consapevolmente da interessi concreti sia inconsciamente da convergenze di utilità.
Il saggio, passando dalla critica all’economista Charles Wolf della Rand Corporation alla rilettura dei lavori di M.H. Halperin dell'Università di Harvard, lascia intendere come l'interesse in un ceasefire fosse estremamente minore rispetto all'interesse nell'influenzare e modificare il corso del conflitto per far sì che questo potesse continuare a fruttare economicamente e politicamente.
Secondo uno dei pochi senatori americani dell’epoca dichiaratamente contro la guerra, J.W. Fulbright, le università stesse non riuscirono affatto a costituire un contrappeso efficace al complesso militare ed industriale; esse, al contrario, si "integrarono nel monolito, accrescendone sensibilmente il potere e l'influenza".
Pertanto, oggi come allora, riconoscere la colpa diretta e netta di una classe dirigente appoggiata da una classe intellettuale sostanzialmente complice diviene cosa dura; ma non impossibile.
è proprio nei recenti avvenimenti di questione pubblica che si inizia a sentire lo scricchiolio rumoroso di quel piano gerarchico; che, tradendo l'unico suo impegno essenziale ossia quello di congiungere le aule del potere con le piazze dei cittadini, deve essere riconosciuto come partecipe fondamentale dei tristi eventi storici che stanno avvenendo.
Sono, ai giorni nostri, sempre più le persone che denunciano la stortura di ciò che le circonda; "che non possono mandar giù la guerra, né l'idealismo reazionario che la accompagna"; che vogliono sostituire, "al fascino del comportamento marziale, al fascino della tecnica più cinica (...) Il fascino di idee nuove e vere, del vigore artistico, dello stile culturale; dell'intelligenza permeata di sensibilità e della sensibilità rafforzata dall'intelligenza".
Queste parole non costituiscono un programma per l'azione, suggerisce Chomsky, ma "una esortazione a ricercare un programma del genere e a creare per noi stessi e per gli altri il contesto sociale che può dare esso vita".
Risulta dunque indispensabile capire chiaramente in quali luoghi si trovino le responsabilità reali di questi bruschi cambiamenti sociali, per poi introdursi in questo processo di costruzione di solidarietà e reciproca comprensione che sta riapparendo timidamente nella nostra società e da cui dipende tanto del futuro delle nostre malfatte democrazie.
Una forma di coesione sociale, così, diviene irrinunciabile.
Nel decennio dell'indifferenza, proprio a questo proposito, Albert Einstein descrisse in questi termini l'importanza della War Resisters' League: "mediante l'unione, essa libera individui coraggiosi e risoluti dalla paralizzante sensazione dell'isolamento e della solitudine, e in questo modo dà loro un appoggio morale nella realizzazione di ciò, che essi, considerano essere loro Dovere".
È ragionevole aggiungere che, per loro Dovere, Albert Einstein intendeva la pace.
Fonti:
- Avram Noam Chomsky: I nuovi mandarini, 1969;
- Albert Einstein: citato in: Anti-Politics in America, Alfred Knopf, 1967, p. 166;
- Randolph Bourne: The Twilight of Idols, 1917, p.198-199;
- J.W. Fulbright: The War and Its Effects-II, 1967.
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