
Condizione vs Natura.
“Non c’è natura umana: ogni epoca si svolge seguendo leggi dialettiche e gli uomini dipendono dall’epoca e non da una natura umana.”
Sartre riassumeva così una conferenza tenutasi nel 1945 e ricostruita in “L’esistenzialismo è un umanesimo.”
Pensiero di Sartre.
La sua intera filosofia è fondata sulla lucida presa di coscienza dell’Assenza di ogni predeterminazione e destinazione, necessità e giustificazione, e valore e volere superiore o assoluto; tradotto dal celebre “l’esistenza precede l’essenza”.
Questa gratuita e non meditata presenza nel mondo, orfana di un disegno che la comprenda, e che la strappi dal tormento dell’indeducibilità, impone un impegno: un gesto creativo atto a costruire il proprio soggettivo, ma non individuale, senso. “L’uomo è condannato a essere libero.”
Non c’è Dio a cui assomigliare e tendere. Non c’è una natura a cui appartenere ed esser fedeli. Ci resta un’Universalità di fine, che non sia un dato dal quale partire e preumano, ma progetto libero, da raggiungere e non salvaguardare.
“L’universalità dell’uomo non è data ma è perpetuamente costruita.”
Lungi dallo svilire e umiliare il concetto di universalità, Sartre opera uno Sforzo attivo volto riconoscere una comunità di condizione e non una datità di natura; il senso profondo della condizione umana vive in quell’insieme di limiti che delineano la situazione dell’uomo.
“A dispetto delle condizioni storiche – che sono variabili – l’uomo avrà sempre necessità di essere nel mondo, di lavorarvi, di esistere in mezzo ad altri, di essere infine mortale.”
L’uomo è quindi da fare.
Si intravede il valore per nulla astratto e contemplativo della sua filosofia; l’impegno nel calarla nella realtà, e in un’epoca unica e drammatica, non più concepibile come sfondo inerme; e tutta la responsabilità individuale e storica che questo impone.
Commento.
Perché è quindi importante recuperare una prospettiva che guardi alla condizione umana e non alla natura umana?
Innanzitutto, va introdotto un discorso sui limiti.
L’uomo è definito dai limiti che lo circondano, soggettivi e ambientali, e affermare una natura – quindi una verità a priori, ma soprattutto un modello, e un ideale, di uomo - è rifiutare quei limiti, che esistono in quanto sfuggenti e trascendibili - un limite divino, o sacro, in senso sia laico che religioso, non è un limite, ma il tratto che completa un disegno.
È la ragione per la quale se l’uomo non è il prodotto di uno stampo, o la particolare attuazione di un concetto, non esiste un’umanità della quale si possa celebrare il culto. E il progetto di una politica che non guardi a quei limiti con coraggio, ma li determini e li relativizzi, nel tentativo, figlio di una deliberata malafede, di dimostrarli o fallaci o di diluirli, è statica e incapace di partecipare alla verità storica della sua contemporaneità.
Questo lo vediamo nell’insistente ricorso a espressioni che giocano sul concetto di natura, e di contro-natura. Ma è un terreno scivoloso sul quale costruire un pensiero, e a larghi tratti persino incoerente: cosa, o chi determina la piena aderenza a una natura umana? E se, posta una ragionevole definizione, si ammettesse che un’aderenza è concretamente impossibile, come creare una scala di valori da ciò che è più naturale a ciò che lo è meno?
Non serve molto per accorgersi dei punti di convergenza tra questa prospettiva, e la strenua difesa di una tradizione consolidata. È il vecchio adagio del sapere popolare che alimenta la superstizione: non serve elencare proverbi e slogan polverosi per renderci conto dell’ossequioso rispetto che si riserva ai poteri costituiti, e lo sguardo sinistro rivolto all’azione interessata e libera.
Parlare di natura ci riporta all’assoluto, a sentirci necessari e dati, non gratuiti e gettati, e ci rende predisposti alla fiducia cieca nei confronti di chi, questa destinazione la elogia, e ci illude di privilegiarla; e ci induce alla credulità e al quietismo.
Recuperare una prospettiva sulle condizioni permette di crearci.
La politica deve parlare alle condizioni, quelle determina, su quelle insiste, quelle la responsabilizzano, la politica come garante della condizione naturale, è statica, incapace di partecipare al proprio presente.
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